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Un NUOVO ORDINE MONDIALE

10/30/2011

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Il NUOVO ORDINE MONDIALE è una realtà vera, fanno tutti parte della stessa FRAMMASSONERIA.
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Terza guerra mondiale: la Grecia è fallita

10/30/2011

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28 ottobre 2011
di
ilBuonPeppe

Si affannano tutti ad abbellire la cosa, a trovare espressioni diverse e, più in generale, a mantenere il tutto sotto tono per evitare che le persone si rendano realmente conto di ciò che è successo. La verità nuda e cruda però è tanto grave quanto semplice: la Grecia è fallita.
Dopo una trattativa che, a quanto pare, è stata piuttosto dura, il debito greco, pari complessivamente a circa 350 miliardi di Euro, è stato tagliato di un centinaio di miliardi. Il che non significa, ovviamente, che la Grecia lo ha rimborsato e quindi estinto, ma che i creditori lo hanno dichiarato perso, per cui accettano un rimborso parziale dei titoli che possiedono.
E quando un soggetto non paga i propri debiti, c’è poco da fare giri di parole: é fallito.

Più in dettaglio poi c’è da capire come questo taglio si concretizza. I soggetti creditori che hanno accettato la cosa sono banche private prevalentemente europee; non riguarda invece la BCE né, a quanto sembra, i singoli cittadini. Bene! Vuol dire che il prezzo per la cattiva gestione finanziaria greca lo pagano le banche che, in molti casi, di quella cattiva gestione nel tempo si sono rese complici; le istituzioni e i singoli cittadini non vengono toccati e mantengono intatti i loro crediti. Benissimo!
No. Temo che le cose stiano diversamente. Quanto vale un credito verso un soggetto fallito? Zero. I titoli pubblici greci che la BCE, i cittadini e chiunque altro hanno ancora in tasca oggi valgono zero. Se con un tratto di penna hanno cancellato 100 miliardi, chi gli impedisce di fare altrettanto con gli altri 250? Quando si verificherà che la Grecia, nonostante tutto, non riesce a risollevarsi, perché le politiche suicide che il suo governo (sempre su ordine di BCE e soci) ha applicato hanno ridotto le persone in miseria, e anche il debito residuo risulterà troppo pesante da sostenere, cosa faranno? Un altro tratto di penna e altri miliardi scompariranno.
Ancora una volta la verità è piuttosto semplice: i titoli greci oggi valgono zero.

E le banche che hanno accettato questo taglio? Hanno ricevuto l’ordine di ricapitalizzarsi mediante ristrutturazioni e cartolarizzazioni (che oggi significano inevitabilmente svendite). Ovviamente l’idea di cercare risorse sul mercato non compare: chi vuoi che corra per mettere soldi in una banca che ha appena perso crediti per qualche miliardo e necessita di capitali freschi per recuperare? Ricapitalizzare. Se poi non ci riescono si potranno rivolgere ai rispettivi Stati per un aiuto. Ma va? Dove l’ho già sentita?
Stati che però, come ben sappiamo, sono tutti in crisi finanziaria e declineranno quindi tali richieste. L’ultima spiaggia per le banche sarà l’EFSF, e così il cerchio si chiude.
Mi pare di vederlo già. Le banche tenteranno la ricapitalizzazione (o più probabilmente faranno finta); non raggiungendo gli obiettivi imposti chiederanno aiuto agli Stati, che risponderanno picche; infine busseranno all’EFSF che, generosamente, sistemerà i loro conti. Con soldi pubblici, ovvio.
Così i soldi dei cittadini europei, che gli Stati verseranno nelle casse dell’EFSF (nel frattempo rimpinguate fino a 1000 miliardi di Euro) serviranno a coprire le perdite che le banche hanno subìto accettando il taglio dei crediti verso la Grecia.

Il saldo finale per le banche è zero, a pagare saremo noi. Qualcuno aveva dei dubbi?
La situazione greca, dovuta alla cattiva gestione dei suoi governanti e ai giochi speculativi del mondo finanziario, la pagheremo noi. Il tutto con la benedizione dell’Europa, della BCE e degli illuminati governanti europei.
Abbiamo davvero bisogno di un’Europa così? Se questo è il prezzo da pagare per utilizzare l’Euro, ne vale davvero la pena?
E se questo vi sembra grave, aspettate a vedere cosa sarà il MES…

EFSF: si scrive “fondo salva stati”, si legge “fondo salva banche”. I cittadini? Ma chi se ne frega?

preso da: http://www.pleonastico.it/modules/news/article.php?storyid=230


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Ecco perchè paghi le tasse del debito pubblico e la tua valuta vale sempre meno.

10/28/2011

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Vuoi sapere da dove nasce il tuo debito e il perché devi lavorare tanto per pagare il 70% in tasse? Guarda questo video perché anche noi ne dipendiamo
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LE BUGIE DELLA BIBBIA

10/26/2011

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martedì 6 ottobre 2009
di Mattia Fabbri

Anche quelli che non hanno letto neanche una riga del Vecchio Testamento ne ricordano qualche pagina emozionante: le acque del Mar Rosso che si aprono miracolosamente davanti al popolo di Israele in fuga dalla schiavitù in Egitto o il giovane Davide che affronta mezzo nudo il gigante Golia protetto da una formidabile corazza di ferro, e lo fa secco con una micidiale sassata in fronte. Merito del cinema, certo che ha tratto dalla Bibbia un colossal dietro l’altro, e della tv, che li ripropone a ogni festività religiosa.
Ma dietro la finzione cinematografica, quanta verità storica c’è, e quanta leggenda? In passato una domanda così sarebbe apparsa blasfema. Oggi, invece, il racconto biblico è tutto in discussione. “Due filoni della ricerca, da una parte l’analisi filologica dei testi biblici, dall’altra l’archeologia arrivano alle stesse conclusioni”, sostiene Mario Liverani, che insegna Storia del Vicino Oriente Antico all’università La Sapienza di Roma ed è autore del recente volume Oltre la Bibbia. Storia antica di Israele, “E le conclusioni sono che non possono essere considerati storici i r
acconti più celebri del Vecchio Testamento, come le vicende di Abramo e dei Patriarchi, la schiavitù in Egitto, l’Esodo e la peregrinazione nel deserto, la conquista della terra promessa, la magnificenza del regno di Salomone.
Certo, non tutti sono d’accordo: in alcuni ambienti le resistenze sono molto forti, al punto che siamo arrivati all’insulto quotidiano.” Rifiutano di mettere in discussione la verità storica della Bibbia sia alcune correnti di pensiero religioso, cristiane e israelitiche, sia l’ala più estrema del movimento sionista, che rivendica per gli ebrei non solo l’intera Palestina, ma addirittura tutto il Levante compreso fra il fiume Eufrate e il confine egiziano: il territorio di un impero immaginario di tremila anni fa. Alcuni fra i più autorevoli studiosi israeliani, però, a cominciare da Israel Finkelstein, direttore dell’Istituto di archeologia dell’università di Tel Aviv, sono per una ricostruzione della storia antica di Israele fondata unicamente sulla ricerca rigorosamente scientifica.
Proprio perché la tradizione biblica ha avuto un’ influenza tanto grande sulla nostra civiltà, alcune domande sono d’obbligo: se Abramo e i Patriarchi sono leggenda, qual è stata l’origine degli ebrei? E se Mosè non è mai salito sul Monte Sinai, da dove vengono i Dieci Comandamenti e la stessa fede in unico dio, che oggi accomuna ebrei, cristiani e musulmani? E poi, venendo al nocciolo della questione: perché quei racconti sono stati scritti, quando, e chi sono gli autori?
“Gli ebrei, come del resto tanti altri popoli, si sono dati un mito delle origini nel momento in cui ne avevano più bisogno”, dice Liverani. “Oggi, con evidente anacronismo, ma con qualche ragione, si potrebbero accostare quelle pagine del Vecchio Testamento a un documento di propaganda politica”. Occorreva dare un passato nobile ad un popolo che rischiava di perdere la propria identità.

L’ESILIO imposto agli Ebrei dai Babilonesi nel 587 a.c. rafforzò la loro fede in unico dio
La scrittura e la rielaborazione dei testi biblici principali è durata più o meno un secolo, all’incirca dal 622 al 516 avanti Cristo: un secolo tragico, segnato da un evento che avrebbe potuto cancellare l’identità del popolo ebraico e la sua fede in un unico dio.
“Gli Ebrei avevano un loro piccolo stato, il regno di Giuda, che attorno a Gerusalemme si estendeva su una superficie paragonabile a quella dell’Umbria: come altri staterelli dell’area, era assoggettato alla potenza egemone dell’epoca, l’impero babilonese. Si ribellò, ma gli andò male: i Babilonesi assediarono per anni Gerusalemme, la espugnarono e la distrussero. Il Tempio di Yahweh, il dio unico, fu abbattuto e il sommo sacerdote giustiziato assieme a una sessantina di notabili. La popolazione cittadina fu deportata in Mesopotamia. I contadini sparsi nelle campagne vennero invece lasciati sul posto: non rappresentavano un problema per l’impero.

LA PUNIZIONE DIVINA
Lo scopo delle deportazioni fatte dai Babilonesi (e prima di loro dagli Assiri) era quello di cancellare l’identità dei popoli vinti, inducendoli ad adottare la lingua e ad adorare gli dei del vincitore. Dopo tutto, secondo le idee del tempo, i deportati non avevano motivo di credere ancora nel loro vecchio dio, che era stato sconfitto in guerra e non era stato capace di proteggerli. E invece, nei 70 anni che durò la “cattività babilonese”, i leader religiosi e politici ebrei scampati al massacro respinsero l’idea che Yahweh fosse stato sconfitto e adottarono una posizione religiosa radicalmente nuova, questa: il dio di Israele era l’unico dio di tutto l’universo. E non solo non era stato sconfitto, ma si era servito dei Babilonesi per punire il suo popolo, colpevole di gravissimi peccati. I Babilonesi, dunque, erano stati solo uno strumento della divinità. Gli Ebrei, anziché perderla, rafforzarono la propria identità nell’esilio, convinti che, una volta espiata la colpa, forti di una religione rigorosa e purificata, sarebbero tornati in patria: dove avrebbero ricostruito Gerusalemme e il celebre Tempio.
L’occasione si presenta nel 539 avanti Cristo: Ciro, re dei Persiani, conquista Babilonia e consente agli Ebrei di rientrare in patria come sudditi del suo impero nuovo di zecca. Figli e nipoti dei deportati tornano a scaglioni a Gerusalemme, animati da un rinnovato spirito di rigore religioso. Trovano però scarsa comprensione in quella parte della popolazione ebraica che non era stata deportata: peggio ancora, spazi che considerano loro sono stati occupati da immigrati di altra fede provenienti dalle regioni confinanti. I reduci hanno allora bisogno di un documento che dica in sostanza: “Abbiamo il diritto di riprenderci quello che è nostro da sempre: la Terra di Canaan, che ci è stata promessa da Yahweh e che Giosuè ha conquistato per noi.”
Dice Liverani: “La riscrittura delle origini del popolo ebraico era già iniziata a Gerusalemme prima della deportazione, quando il re di Giuda, Giosia (regnò dal 640 al 609 avanti Cristo) progettava di espandere il suo piccolo stato verso i confini di un mitico regno che nel remoto passato avrebbe unito sotto uno solo scettro tutti gli Ebrei. L’elaborazione del mito continuò durante l’esilio e proseguì negli anni successivi al ritorno da Babilonia.”
L’area di Gerusalemme è oggetto di scavi archeologici da un secolo e mezzo: del periodo che, secondo il racconto biblico, avrebbe visto la fioritura del “regno unificato” degli Ebrei (siamo nel X secolo avanti Cristo) non è stato trovato nulla, se non pochi cocci di terracotta. Non una traccia di scrittura, neanche minima: fatto inconcepibile per un regno di qualche importanza. Non si conosce, dai documenti contemporanei dei popoli vicini, neanche il nome di questo preteso regno. “In realtà”, dice Finkelstein, “quella Gerusalemme doveva essere un centro abitato piuttosto insignificante, un villaggio tipico della regione montuosa. Secondo calcoli demografici impiegati per questa epoca, il “regno” non doveva contare più di 5000 abitanti sparsi fra la capitale, Hebron e la Giudea, più qualche gruppo sparso di seminomadi.”

ESODO - La grande fuga
Secondo le osservazioni di Liverani nei documenti egizi dell’età del Tardo Bronzo non c’è traccia della permanenza di un popolo straniero nella valle del Nilo, né della presenza di Mosè alla corte del Faraone.
L’unico accostamento possibile è la prassi con la quale il Faraone accordava ai pastori nomadi il permesso di soggiornare nel Delta in tempo di siccità per abbeverare il bestiame. D’altra parte, l’idea di un impero che tiene prigioniero un popolo in terra straniera non poteva nascere prima dell’esperienza delle deportazioni assiro-babilonesi, avvenute però nel millennio successivo.
Analoghe osservazioni valgono per l’Esodo e la peregrinazione nel deserto. Usciti dall’Egitto grazie all’intervento divino, che terrorizza il Faraone oppressore con le terribili “sette piaghe”, il popolo ebraico avrebbe peregrinato per 40 anni nel deserto. Ma quello descritto è un deserto immaginato attraverso le paure e i pregiudizi di un cittadino di Gerusalemme o di Babilonia, che vi vede serpenti e scorpioni dappertutto ed è convinto di morirvi di sete e di fame, a meno di interventi della divinità. Un popolo di tradizione pastorale avrebbe avrebbe percorso le piste della transumanza e trovato acqua e pascoli nei posti giusti.
Di questa sapienza antica non c’è traccia nel racconto biblico, che appare poco più di una cornice per esporre questioni giuridiche e religiose.

IL DECALOGO - Le tavole della legge
Le Tavole della Legge, come del resto altre parti della narrazione biblica, contengono senza dubbio precetti antichissimi, che erano stati trasmessi per molto tempo soltanto dalla tradizione orale. Ma il primo dei comandamenti, quello che impone di adorare un solo dio, non è più antico del regno del di Giosia (640-609 a.C.). L’onomastica rivela che gli Ebrei in origine adoravano altri dei oltre a quello che sarebbe diventato il loro unico dio e che in ebraico era chiamato Yahweh. Alcune iscrizioni parlano di Yahweh e della sua compagna, una dea cananea di nome Asherah. Poi adottarono la monolatria, cioè la fede in un unico dio per tutta la nazione, senza escludere che gli altri dei di altri popoli fossero a loro volta veri. Infine, ma solo negli anni dell’esilio babilonese, passarono al monoteismo puro, cioè al riconoscimento di Yahweh come dio unico di tutto l’universo. Anche il quarto comandamento, quello che impone l’obbligo di onorare il padre e la madre, si ritrova in scritti siriani mesopotamici, anche in forme più esplicite tipo “Mantieni il padre e la madre se vuoi avere diritto all’eredità.”

LE FONTI - Da Gilgamesh ad Hammurabi
Lo studio delle culture del Vicino Oriente Antico ha permesso di stabilire che molte narrazioni bibliche non sono originali, ma si sono ispirate a fonti più remote. Il racconto del Diluvio Universale, per esempio, si trova già nel poema epico di Gilgamesh, eroe sumero-babilonese del 2000 a.C., come testimoniato dalle tavolette con scrittura cuneiforme trovate a Ninive.
Incredibile è la somiglianza fra il codice di Hammurabi, re babilonese del XVIII secolo a.C. che fece redigere la più antica raccolta di leggi e i 10 Comandamenti, come “Non frodare”, “Non adorare altre divinità al di fuori del Signore”, “Non concupire”, “Non desiderare roba d’altri”.
L’episodio riguardante Eva e la mela è tratto da una leggenda sumera che faceva dipendere l’origine dei ma
li dalla prima donna che, indotta da un serpente a disobbedire al dio creatore, convinse il suo compagno a mangiare il frutto dell’albero proibito. La favola sumera viene raccontata in un documento chiamato “Cilindro della Tentazione” che è conservato presso il British Museum di Londra. Questo documento, scritto nell’anno 2500, esisteva già venti secoli prima che venisse redatta la Bibbia.
La Torre di Babele altro non era che la ziggurat che il re di Ur, Nimrod, fece costruire a Babilonia nel 2100 a.C. in onore del dio Nanna.

GIOSUE’ - Una guerra lampo
Per gli storici, la folgorante campagna militare di Giosuè per la conquista della Palestina (la terra che la Bibbia dice promessa da dio ad Abramo, progenitore mitico degli Ebrei) è del tutto inverosimile: chi ne ha scritto il racconto ignorava che all’epoca la Palestina era occupata dagli egiziani, che di sicuro non se ne sarebbero rimasti con le mani in mano. Inoltre, nessun documento contemporaneo ne reca traccia.
L’archeologia ha dimostrato
che, fra le città che la Bibbia dice espugnate da Giosuè, Gerico era già in rovina e abbandonata da quattro o cinque secoli e Ai addirittura da un buon millennio.
E i popoli che sarebbero stati sterminati fino all’ultimo uomo, donna e bambino per ordine di Yahweh? Con qualche sollievo gli storici hanno accertato che il loro elenco nella Bibbia è inventato. Salvo i Cananei, che si trovavano davvero in Palestina, ma che di certo non vennero sterminati, e gli Ittiti, autentici anche loro, ma che in Palestina non avevano mai messo piede, gli altri, Amorrei e Perizziti, Hiwiti e Girgashiti, “giganti” e Gebusei sono popoli semplicemente immaginari.

SALOMONE - Il grande re saggio
Figlio di David e Betsabea Salomone segna, nella narrazione biblica, il momento di massimo successo politico degli Ebrei. Succeduto al padre su un trono comprendente tutte le 12 tribù di Israele, Salomone avrebbe allargato i confini del regno fino a farne una potenza regionale. Ma la pretesa che si estendesse dall’Eufrate al “torrente d’Egitto” (oggi Wadi Arish) rivela l’anacronismo: questi sono i confini della satrapia persiana della Transeufratene, istituita però secoli dopo.
La descrizione biblica del grande tempio edificato da Salomone non è credibile: nella Gerusalemme del tempo, una città piccolissima, non ci sarebbe stato neanche lo spazio per erigerlo. Ha poi tutta l’apparenza di una favola il viaggio della regina di Saba che parte dal regno dei Sabei (un territorio dell’odierno Yemen) per far visita a Salomone accompagnata dai suoi cortigiani con doni preziosi per saggiare la sapienza e l’intelligenza del grande re Israelita.

Salomone è forse una figura storica, ma del suo nome non c’è traccia in nessun documento al di fuori della Bibbia.
Fonte:
Le Bugie della Bibbia

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Etichette: Bibbia

Pubblicato da Fabry a 23:05  
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COME NACQUE LA BIBBIA di David Donnini

10/26/2011

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giovedì 15 ottobre 2009

Indagine critica sulle radici storiche del Vecchio Testamento
"Dio non avrebbe mai scritto un libro come questo"
 1 - UN FARAONE PARTICOLARE.
 Una ventina d'anni fa, mentre rovistavo nella vecchia libreria di mio padre, fra scaffali nei quali facevano bella mostra di sé le eleganti costole rilegate in tela di volumi degli anni trenta e quaranta, mi capitò fra le mani un testo di Sigmund Freud: "Mosè e il monoteismo".
Rimasi stupito del fatto che Freud si fosse occupato di quell'argomento; ero abituato a titoli come "Psicopatologia della vita quotidiana", o "L'interpretazione dei sogni", e pensavo che il padre della psicanalisi non si fosse mai interessato di questioni storiche o religiose. Iniziai a leggerlo e, devo confessare, fu un impatto travolgente; rimasi talmente affascinato da ciò che scoprii che mi domandai com'era possibile che certi significativi incontri dipendessero da circostanze così casuali. E se non ci fosse stato questo libro nella casa dei miei genitori? L'avrei mai letto?

Sigmund Freud era ebreo di nascita. Egli apparteneva ad una stirpe che, in seguito alla plurisecolare persecuzione subita da parte dei cristiani, ha sviluppato per reazione un fortissimo senso della propria identità e trasmette ai propri figli un orgoglio fiero, composto ma deciso, capace di lunga rassegnazione, ma anche di uno spirito di autodifesa e di combattimento com'è difficile trovarne in altre realtà etnico-religiose.
La prima parte del libro faceva spesso riferimento ad un faraone egiziano della XVIII dinastia, Amenofi IV. Costui fu il protagonista di una eccezionale riforma politico-religiosa del sistema egiziano. L'occidente cristiano non ha la benché minima idea di quanto sia debitore, nelle caratteristiche della propria identità culturale, al faraone Akhenaton e ai contenuti della sua riforma.
Sarà bene procedere con calma e ordine, cominciando da una brevissima premessa sulla situazione dell'Egitto nel periodo che precedette l'ascesa al potere di questo singolare faraone.

Sotto il regno di Amenofi III (negli anni dal 1405 al 1377 a.C.), quando Tebe era la città reale, una fortissima casta sacerdotale, custode e amministratrice del culto del dio Ammon, aveva sviluppato, in connubio con l'aristocrazia del paese, un grande potere, ed era entrata in una posizione conflittuale con l'egemonia della corte faraonica. Per questo motivo, ma anche per una propensione caratteriale e ideologica, allorché succedette ad Amenofi III il figlio che costui aveva avuto dalla regina Tiye, Amenofi IV (intorno all'anno 1377 a.C.), l'Egitto fu protagonista del suo più grande sconvolgimento, quale nemmeno le precedenti invasioni degli Hyksos avevano potuto produrre.
In breve tempo, a partire dalla sua nomina al trono, il nuovo faraone rivoluzionò la religione di stato, spodestò la classe sacerdotale, sostituì il molteplice panteon egizio con una curiosa fede monoteistica. Si trattava forse del primissimo esempio nella storia di monoteismo di stato, incentrato sul culto del disco solare, che era chiamato Aton. Anche la capitale fu spostata ad Akhet-aton, più a nord rispetto a Tebe, e il sovrano mutò il proprio nome da Amenofi ad Akhenaton, o Ekhnaton (amato da Aton).
Nell'insegnamento di Akhenaton possiamo notare la insistente ricorrenza del termine "maet" (verità), ed egli stesso si definiva "vivente nella verità", al punto da sovvertire la tradizione che, nelle opere d'arte, era solita presentare il sovrano in una forma stereotipata, coerente col formalismo celebrativo, e si faceva ritrarre in scene di vita familiare, mentre insieme alla moglie Nefertiti e alle figlie passeggiava e faceva offerte al dio sole.
Fu, probabilmente, un faraone dal volto umano; sappiamo che perseguì una politica pacifista, riducendo le spese militari e rinunciando alla difesa ad oltranza dei territori fuori dall'Egitto. Possiamo ragionevolmente ipotizzare che ciò comportasse una diminuzione del prelievo fiscale; possiamo anche avanzare l'idea che il popolo percepisse, nella figura del suo bizzarro faraone, qualcosa di meno lontano da sé di quanto non fossero stati i precedenti sovrani e sacerdoti. Ma queste, ci tengo a chiarirlo, sono speculazioni arbitrarie, senza un fondamento nelle prove storiche.

E' abbastanza immediato pensare che un sistema del genere difficilmente avrebbe potuto funzionare a lungo. Infatti gli hittiti premevano ai confini orientali del regno e sfruttarono la circostanza per espandere il loro dominio a spese dell'Egitto. Molti fra i sacerdoti spodestati e gli aristocratici intuirono i pericoli della circostanza e tramarono per preparare una restaurazione del precedente regime e riconquistare i privilegi perduti. Allorché Akhenaton morì (intorno al 1362 a.C.), la moglie Nefertiti (sinistra) si adoperò per far salire al trono il giovanissimo genero Tut-ankh-aton, ma, alla morte della stessa Nefertiti, sacerdoti ed aristocratici approfittarono della situazione instabile e dell'inesperienza del nuovo faraone, per iniziare una rapida controriforma e per rimettere in piedi gli antichi poteri e la religione tradizionale dell'Egitto. La città di Akhet-aton fu abbandonata e la capitale fu ristabilita a Tebe. Anche il nome del faraone fu opportunamente corretto in Tut-ankh-amon, coerentemente col culto restaurato del dio Ammon. Tutti conosciamo il famoso faraone, è l'unico di cui è stata scoperta la tomba intera, inclusa la mummia, e questo ritrovamento è stato l'evento più spettacolare dell'archeologia egiziana.
E' ovvio che, con l'avvento della restaurazione, una parte della società egiziana, che si era sviluppata alla corte di Akhenaton, visse un pesante tracollo. Possiamo facilmente immaginare in quale difficile situazione si siano trovati i suoi ex funzionari e sacerdoti, improvvisamente esautorati e, probabilmente, perseguitati.
Ora, come spesso succede in questi casi, se sono i grandi poteri a stabilire certe tappe importanti del cammino storico, sono alcuni poteri meno appariscenti (oserei dire occulti) a dirigere il cammino definitivo della storia, anche se a lunga scadenza. Infatti è assolutamente certo che l'esperienza del regno di Akhenaton aveva lasciato una traccia profonda, non solo negli interessi politici e nei rancori di quanti erano stati colpiti dalla controriforma, ma anche, e forse soprattutto, nell'inconscio collettivo, grazie all'idea di una teologia monoteistica, che sostituiva le figure fantasiose delle numerose divinità col concetto affascinante di un principio creatore unico ed universale, irrimediabilmente superiore a quello delle immagini dall'aspetto antropomorfico o animale, simboleggiato dal disco solare; in cui chiunque riconosce istintivamente la paternità di ogni manifestazione della vita terrestre.
Sebbene non ci siano elementi per riportare alla luce, dall'oblio in cui sono stati definitivamente sepolti, i movimenti e le trame di coloro che, per interesse o per adesione ideologica, simpatizzavano con le concezioni dell'ormai sconfitto sistema politico-religioso di Akhenaton, possiamo essere certi che questo desiderio di ritorno alle novità di cui l'Egitto aveva avuto un assaggio, non ha mai più abbandonato almeno una parte della società di questo paese, e ha giocato un ruolo non indifferente nella dinamica delle conflittualità interne.
2 - GLI EBREI IN EGITTO.
A questo punto, nel nostro discorso, possiamo innestare la realtà dei popoli semitici che erano penetrati in Egitto, pur non essendo egiziani, in una condizione che troppo spesso è semplicisticamente rappresentata dal termine "schiavitù".

Già in precedenza i rozzi nomadi semiti avevano preso di mira, con le loro migrazioni di massa, altre grandi civiltà sedentarie, attratte dallo straordinario sviluppo tecnologico di cui queste erano depositarie, e della loro imponente organizzazione urbanistica e sociale. Mi riferisco ai sumeri, che furono letteralmente schiacciati da questa corrente migratoria. I semiti in questione erano gli accadi. Un grande condottiero di questi uomini (siamo intorno all'anno 2450 a.C.), protagonista di una clamorosa vittoria sui sumeri, fu Sargon. Di lui la leggenda accadica narra che era stato abbandonato dalla madre nelle acque del fiume, in un canestro di giunchi, per poi essere raccolto da un acquaiolo, su indicazione della dea Ishtar, che lo aiutò a diventare un re potente. E' una storia che già conosciamo, anche se con altri protagonisti.
Adesso, nell'Egitto degli ultimi faraoni della XVIII dinastia, e dei primi della XIX, succedeva qualcosa di somigliante a ciò che era successo nel paese dei sumeri mille anni prima; e che succede ancora oggi nei paesi opulenti dell'occidente cristiano. Le popolazioni circostanti, etnicamente diverse, socialmente e culturalmente meno evolute, economicamente più povere (potremmo considerarli gli extracomunitari dell'epoca), entravano in Egitto e qui si stabilivano in cerca di fortuna. Gli stessi Egiziani tolleravano la loro presenza perché, non ostante gli evidenti svantaggi del fenomeno immigratorio, questa gente offriva forza lavoro a basso costo, e poteva svolgere gli innumerevoli compiti che i contadini egizi non avrebbero potuto né voluto svolgere. La Bibbia li rappresenta come un popolo che aveva già maturato una sua identità nazionale, chiamandoli ebrei. Ma questa è pura leggenda. Infatti le popolazioni che si erano introdotte in Egitto per lavorare erano molte e diverse, così come oggi, da noi, sono diversi i marocchini dai senegalesi, gli albanesi dagli slavi...
E' probabile che, ad un certo punto, questa parte della varia umanità che componeva il tessuto sociale egiziano, abbia acquistato un certo peso e una certa coscienza di sé, maturando il bisogno di acquistare anche un senso della propria identità che, ovviamente, fino a quel momento non esisteva perché si trattava di un gruppo eterogeneo per lingua, razza e culti religiosi, in cui, probabilmente, prevaleva una componente semitica.

L'opinione di Freud, che egli illustra con grande chiarezza nel libro che abbiamo citato in precedenza, è quella che le conflittualità interne alla società egiziana e, in particolare, le opposizioni nei confronti della classe dominante, costituita dai faraoni della XIX dinastia e dalla classe sacerdotale fedele al culto restaurato del dio Ammon, abbiano potuto concentrarsi intorno alla nostalgia per la perduta riforma voluta da Akhenaton.
E' probabile che il monoteismo incentrato sulla figura divina del sole offrisse l'idea di un concetto universalistico che si prestava alle istanze di quanti, in seno alla società egiziana, erano collocati in una posizione fortemente emarginata e subordinata. Ed è anche probabile che gli ex funzionari e sacerdoti di Akhenaton, o i loro discendenti, abbiano trovato nelle popolazioni semitiche, che vivevano in Egitto in una condizione di pesante asservimento, una comunità disposta ad ascoltarli, interessata a seguirli, a dare loro peso e importanza. Si sarebbe così determinata una simbiosi fra la parte dissidente della società egiziana, costituita da quanti avevano subito il tracollo del sistema di Akhenaton, e le popolazioni immigrate, le quali, fino a quel momento, non erano state capaci di darsi né una identità né una forza come gruppo.

Freud si è spinto fino ad avanzare l'idea che l'uomo che noi conosciamo come Mosè fosse stato un ex funzionario di Akhenaton, anche se ciò dà adito a qualche obiezione. Una di queste, per esempio, riguarda i tempi; infatti una delle probabili datazioni dell'uscita delle popolazioni semitiche dall'Egitto è intorno al 1250 a.C., durante il regno del faraone Ramsete II. Sono passati cento anni dalla restaurazione del culto di Ammon e Mosè non potrebbe essere stato un protagonista in prima persona dell'esperienza del sistema di Akhenaton. Anche se, in realtà, la datazione dell'esodo è quanto di più incerto ci sia e non è possibile porre questa obiezione come decisiva. Personalmente non credo affatto che determinare una datazione certa per il cosiddetto esodo sia molto importante, ai fini del nostro discorso; infatti non è così fondamentale che Mosè sia stato, oppure no, un funzionario del faraone Akhenaton. A noi importa soprattutto introdurre un'idea: quella che gli egiziani accomunati da un interesse nostalgico per il sistema di Akhenaton e per la sua concezione monoteistica, da un lato, e la componente emarginata della società egiziana che aveva avuto origine nei trascorsi flussi immigratori, dall'altro lato, avessero trovato un'intesa che li poneva in serio conflitto con le classi dominanti e che li aiutava a maturare una identità di gruppo.
Ora, gli interpreti di questo più che verosimile processo possono essere stati sia gli ex protagonisti del sistema di Akhenaton, in un'epoca immediatamente successiva alla restaurazione (fra il 1350 e il 1300 a.C.), sia i loro discendenti (fra il 1300 e il 1200 a.C.), ovverosia all'epoca in cui siamo soliti ambientare l'esodo biblico.
3 - MOSE' EGIZIANO?

C'è un aspetto estremamente importante che Freud sottolinea con argomentazioni puntuali e, direi, piuttosto ineccepibili. Si tratta del fatto che Mosé sarebbe stato un egiziano e non, come si crede comunemente, un ebreo. Una delle basi di questa opinione risiede nel nome stesso: "...E' importante notare che il suo nome (il nome di questo capo), Mosè, è egiziano. Esso è semplicemente la parola egiziana "mose" che significa "fanciullo", ed è la contrazione di forme nominali più complesse, quali ad esempio "Amon-mose", che significa "Amon un fanciullo", o "Ptah-mose", che significa "Ptah un fanciullo", i quali nomi sono a loro volta abbreviazioni della forma piena "Amon ha donato un fanciullo", o "Ptah ha donato un fanciullo". L'abbreviazione "fanciullo" presto divenne una forma rapida più conveniente dell'ingombrante nome completo, ed il nome Mose, "fanciullo", non è infrequente sui monumenti egizi. Il padre di Mosé senza dubbio prefisse al nome del figlio quello di un dio egizio, quale Amon o Ptah, e questo nome divino si perdette gradualmente nell'uso corrente, finché il fanciullo venne chiamato "Mose"" [Citazione da History of Egypt, di J.H.Breasted, in Freud, Mosè e il monoteismo, Pepe Diaz, Milano, 1952].
"...nella lingua [egiziana] "Mosè" equivaleva a "bambino", "figlio", "discendente", sia in senso letterale che metaforico..." [J.Lehmann, Mosè l'egiziano, Garzanti, Milano, 1987].
E ancora: "...non ci resta perciò che il nome, il quale, malgrado la spiegazione giudaica "tratto dalle acque", riallaccia Mosè ai nomi egiziani Tutmosi o Ramesse (Rah-mose)" [F.Castel, Storia d'Israele e di Giuda, Ed. Paoline, Cinisello Balsamo (Mi), 1987].

C'è poi un'altra importante considerazione da fare. Il Mosè biblico ha un abito del tutto leggendario, a sostegno dell'idea che la sua identità sia il frutto di una operazione artificiale finalizzata a rappresentarlo come il padre nazionale degli ebrei . Infatti il racconto della sua nascita, coerentemente con le leggende semitiche, è la copia esatta del racconto che riguarda la nascita del grande Sargon di Accad, che fu abbandonato nelle acque e poi salvato per diventare, infine, un grande re. Evidentemente, allorché fu redatta la storia del popolo che era sfuggito dall'Egitto, si voleva che il suo condottiero possedesse i requisiti che lo rendevano meritevole, a pieno titolo, di quella dignità. Il racconto non fu scritto da storici, animati da uno spirito scientifico di cronaca, ma da apologeti, che dovevano contribuire alla creazione di una coscienza nazional-religiosa.
Ora, esistono altri elementi di sostegno alla tesi del Mosé egiziano, seguace della teologia di Akhenaton: uno è il nome che gli ebrei utilizzano spesso per riferirsi al loro dio, al posto del termine tabù (indicato comunemente dal tetragramma YHWH) che nessuno poteva pronunciare ad alta voce. Si tratta della parola Adonai, che ha la stessa radice (Adon) del dio solare di Amenofi IV (Aton). I glottologi sanno bene che le lettere t e d sono del tutto intercambiabili nelle radici etimologiche, pertanto Adon e Aton sono esattamente lo stesso nome. Si osservi quanto afferma ancora Sigmund Freud: "Il credo ebraico, come è noto, recita: "Schema Jisroel Adonai Elohenu Adonai Echod". Se la somiglianza del nome dell'egizio Aton alla parola ebraica Adonai e al nome divino siriaco Adonis non è casuale, ma proviene da una vetusta unità di linguaggio e significato, così si potrebbe tradurre la formula ebraica: "Odi Israele il nostro Dio Aton (Adonai) è l'unico Dio"" [Sigmund Freud, Mosè e il Monoteismo, Milano, 1952].
L'altro elemento è l'aspetto della famosa "arca dell'alleanza" , che, nel racconto biblico (Es 25, 10-22), Dio aveva ordinato a Mosè di edificare e che, in seguito, sarebbe stata conservata nel tempio di Salomone fino all'invasione assira. Essa riproduce la "barca degli dei" dei templi egizi, anch'essa coi cherubini ad ali spiegate.

Ma c'è un altro elemento, senza dubbio quello di maggior peso: Mosè è comunemente considerato il padre del monoteismo, ma dobbiamo ammettere che la sua idea ha un precedente molto vicino nello spazio e nel tempo, e molto analogo, nella teologia di Akhenaton, pertanto ci rimane difficile credere che la sintesi monoteistica di Mosè non abbia alcun debito nei confronti della rivoluzione religiosa del faraone Amenofi IV.
Riassumendo:
1 - Mosè predica in Egitto, come Akhenaton 50 o 100 anni prima, una teologia monoteistica;
2 - Mosè ha un nome egiziano;
3 - Mosè ha, nel racconto biblico, una nascita assolutamente leggendaria;
4 - Un nome del dio ebraico (Adonai), ha la stessa radice del dio solare (Aton) di Amenofi IV;
5 - L'arca dell'alleanza degli ebrei è quasi identica alla "barca degli dei" dei templi egizi.

 4 - UN POPOLO ETEROGENEO.

Ci troviamo davanti ad importanti constatazioni: le genti che uscirono dall'Egitto, attraverso quel processo che la Bibbia rappresenta nel libro dell'Esodo, erano costituite, per una componente, da una parte della società egiziana, quella dissidente, erede della riforma politico-religiosa di Akhenaton, fedele alla teologia monoteistica, e, per l'altra componente, da un insieme variegato di tribù, in prevalenza semitiche, che avevano trascorso in Egitto molti decenni, trovando interessi da condividere. Si trattava comunque di genti che parlavano lingue o dialetti diversi, con tradizioni religiose diverse, legate agli dei tribali. Non si trattava affatto di un popolo omogeneo, che potesse riconoscersi sotto il nome di ebrei. Ed è per questo che il racconto biblico ci testimonia la grande difficoltà di tenere unito questo insieme di persone ma, soprattutto, la difficoltà di Mosè a mantenere una egemonia su queste genti. Si ricordi a questo proposito il ritorno di Mosè dal monte Sinai, col popolo che, in sua assenza, aveva iniziato ad adorare il vitello d'oro, restaurando, chi lo sa, qualche culto tribale.
E' molto verosimile che la componente egizia di questo insieme di genti, ovverosia gli eredi del sacerdozio di Aton, fossero quelli che la tradizione ebraica chiama "Leviti" e che Mosè ne fosse il capo.
Volendo mantenere un atteggiamento storicamente onesto, noi dobbiamo dissociarci dall'immagine biblica e riconoscere che, all'epoca dell'esodo, non esistevano affatto, o ancora, gli ebrei, intesi come un popolo che potesse essere considerata tale a tutti gli effetti, ovverosia con una sua omogeneità etnica, linguistica, culturale e religiosa, e con una storia comune oltre al fatto di avere condiviso uno stato di emarginazione e di subordinazione in Egitto. Quello che la Bibbia ci rappresenta come il momento in cui gli ebrei realizzarono il loro riscatto dalla schiavitù egiziana è, in realtà, il primo momento in cui gli ebrei iniziano ad inventarsi come popolo. Mosè fu il loro punto di riferimento, come Maometto, 1800 anni più tardi, fu il punto di riferimento per la nascita di una nazione araba. Allora possiamo quasi affermare che la Bibbia non fu un prodotto degli ebrei ma, al contrario, furono gli ebrei un prodotto della Bibbia, nel senso che i principi teologici della Bibbia furono concepiti col fine primario di offrire una base adatta a creare e consolidare l'identità etnico-religiosa di quell'insieme di tribù che si era voluto far diventare popolo.
 5 - DAVID, L'UNTO DI YHWH.
I fuoriusciti dall'Egitto, governati da una casta egiziana e da un capo che aveva riciclato il monoteismo di Akhenaton, ebbero vita difficile e peregrinarono in cerca di una casa finché non giunsero nei pressi di quella striscia di territorio che sta tra il fiume Giordano e il mar mediterraneo. In quel contesto di deserti infuocati (Sinai, Negev, penisola arabica...), dove in estate il sole, picchiando sulle rocce e sulle sabbie nude, produce comunemente temperature di 50 e persino 60 gradi che arrostiscono ogni creatura vivente, le colline della palestina, che sfiorano i mille metri d'altitudine, arrestano il vento che viene dal mare e facilitano le piogge, creano un ambiente assolutamente idilliaco. Clima temperato, boschi verdeggianti, erba adatta al pascolo, stambecchi che scorrazzano, sorgenti di acqua fresca e terra fertile.
Chi non avrebbe pensato che quella sorta di oasi incredibile era un giardino preparato apposta dal creatore come dote per un popolo che godeva di una sua particolare simpatia?
Ma, ahimé, altre genti occupavano questo suolo. Tribù che non erano molto intenzionate ad accettare l'intromissione di questa nuova banda di nomadi.
Certamente i fuoriusciti dall'Egitto ebbero da affrontare prove molto dure, come del resto è chiaramente testimoniato dal racconto biblico relativo al tutto il lungo periodo che separa Mosè da David (due o tre secoli). Un periodo di lotte interne e di conflitti esterni in cui queste genti, oltre a combattere con gli indigeni che trovavano sul loro cammino, dovevano anche combattere contro quella crisi di identità che non poteva non affliggere coloro che tentavano di comportarsi come popolo, pur essendo un miscuglio molto bastardo. Ed è per questo che la società di Israele ha sempre conservato nella sua struttura una molteplicità che, nei fatti, si è espressa nella suddivisione in dodici tribù.
Ovviamente, le vicende e i disagi che questo insieme di genti ha dovuto vivere nei due o tre secoli successivi all'uscita dall'Egitto, ha influito profondamente sulla maturazione della loro concezione religiosa. Infatti, sebbene l'eredità teologica della concezione monoteistica di Akhenaton fosse il concetto di un creatore unico per tutto l'universo e per tutti gli esseri, fu impossibile evitare che queste tribù, impegnate in una dura lotta per la sopravvivenza, non sviluppassero un'immagine del dio come "proprio" dio, un dio che amava intervenire a favore del suo popolo prediletto, un dio che determinava gli esiti delle battaglie e veniva definito per questo "dio degli eserciti".
Questa, filosoficamente parlando, è senz'altro una involuzione del monoteismo pacifista di Akhenaton, che sembrava accarezzare l'idea incredibilmente moderna di una religione universale, legata all'immagine di dio non come signore tribale, ma come signore della natura, depositario di quella potenza che elargisce e governa la vita di tutte le creature. Ma è anche vero che Akhenaton, in giovane età, come principe ereditario, si è trovato senza fatica sul trono di una antica e splendida civiltà. Per lui è stato facile immaginare una religione universale e pacifica, e non possiamo dimenticare che la sua politica idealista, in fin dei conti, è stata abbastanza rovinosa per l'Egitto.
Il dio unico di Israele non è più quel sole equanime che splende per tutti, i cui raggi scendono sulla terra come mani amorose che accarezzano tutte le creature. Il dio di Israele diventa molto partigiano, intende sterminare coloro che non vogliono essere suoi fedeli, incarica un popolo prediletto di farsi esecutore impietoso di questo piano finalizzato al risanamento spirituale dell'umanità. Questa è ovviamente la proiezione narcisistica eseguita da un gruppo umano che, a differenza di Akhenaton, non ha ereditato lo splendore di un antico e ricco paese, bensì non ha ancora una terra, non ha una storia comune, non ha altro che povertà, nemici ostili e crisi di identità collettiva.
Che altro può fare, un gruppo umano come questo, se non inventarsi un orgoglio nazional-religioso, anzi, una missione spirituale, un patto privilegiato col creatore, colmare il proprio immaginario collettivo con l'idea di essere, fra tutti i popoli, il favorito del creatore e di legittimare il proprio interesse promuovendolo al rango di una causa di giustizia universale? Non solo è una idea necessaria, ma si tratta di una idea geniale, assolutamente vincente e, sebbene il presunto favore di dio sia solo una invenzione narcisistica, chi, in Israele, avrebbe osato metterlo in dubbio? Ed è così che l'idea di un monoteismo di stato, presa in prestito da Akhenaton, che non si era rivelata utile per il vecchio Egitto, si rivelò utile per il giovane Israele; adattando però una parte della sua filosofia alle necessità di questo popolo nascente e assumendo tinte di spiccato nazionalismo.
 6 - IL REGNO DI DIO.
Uno dei momenti più gloriosi della sua storia Israele l'ha vissuto quando, a seguito di brillanti vittorie contro i popoli indigeni della palestina, si è trasformato in un regno, prima sotto Shaul, capo della tribù di Beniamino, e subito dopo sotto David, un umile pastorello della tribù di Giuda, che era andato in sposa alla figlia di Shaul.
Shaul era riuscito a riunire sotto lo stesso regno solo tre tribù e non aveva stabilito una capitale, mentre David, un individuo affascinante, abile, spregiudicato, anzi, decisamente cinico, seppe riunire tutte e dodici le tribù sotto un grande regno. E poiché si trattava del regno di un popolo che aveva ormai maturato la convinzione di essere depositario di una missione affidatagli direttamente da dio, o meglio, che era cresciuto e aveva vinto proprio perché aveva trovato la sua identità e la sua forza inventandosi tale convinzione, quel regno non poteva essere altro che il "regno di dio". E il suo compito era quello di splendere davanti a tutti i popoli della terra come luce di verità.
David fu l'unto del signore, messia (mashiah in ebraico, che si traduce christos in greco e cristo in italiano). Le sue umili origini devono in qualche modo essere promosse e la Bibbia ci racconta del profeta Samuele che va a Betlemme (città natale di Davide) e, ispirato da dio, lo riconosce come colui che regnerà su Israele e lo cosparge con l'olio dell'unzione.
David esprime un disegno ambizioso: dare una capitale grandiosa al regno di dio e erigervi un tempio monumentale, che potesse competere con la memoria degli splendori egiziani, sumeri, babilonesi... E' sua la scelta felice di Gerusalemme come capitale, sopra uno dei colli più fortunati della palestina, fra i boschi, a ottocento metri di altitidine, dove i nemici non possono sorprendere con attacchi imprevedibili, dove zampillano sorgenti rigogliose e dove il clima estivo è quello, delizioso, di una località di vacanze di mezza montagna.
Ma David dovette anche affrontare un problema che non era per niente risolto e che dimostra, in modo inequivocabile, quanto eterogeneo fosse questo popolo e come fosse difficile tenerlo unito. David dovette superare gravi difficoltà interne, fra cui una ribellione voluta da uno dei suoi figli, Assalonne, che egli non esitò a far uccidere.

E così David non riuscì a edificare il tempio, sarà uno dei suoi figli, Salomone, che egli ebbe da Betsabea, a realizzare questa ambizione, ma i costi di tale impresa furono talmente elevati, in termini umani e fiscali, da far precipitare il problema della coesione interna, che non poteva non essere sempre minaccioso in un popolo che si era inventato tale, appiccicando insieme tribù diverse e dalle origini più varie.
E così il sedicente "regno di dio" si sfasciò troppo presto sotto il proprio peso e si trasformò in due regni: quello di Israele, nelle regioni della attuale Samaria (palestina centro settentrionale), e quello di Giuda, nelle regioni a ovest del Mar morto (palestina centro meridionale). Il regno di dio durò meno di un secolo, né mai più trovò il suo antico splendore. Furono uomini come quello che Pilato fece crocifiggere alla vigilia di una festività pasquale che, mille anni dopo David, tentarono di replicarne l'impresa, ma fallirono e finirono puntualmente i loro giorni con le mani e coi piedi inchiodati.
 7 - UN LIBRO SACRO CHE RACCONTI LA NOSTRA GLORIOSA STORIA.
L'ideale monoteista, in associazione con la convinzione di essere toccati da una scelta di dio, e quindi di essere gli affidatari di una missione spirituale e i destinatari di una terra promessa, è l'ideologia che ha consentito agli ebrei di inventarsi come popolo, di svilupparsi, di risolvere i suoi problemi di sopravvivenza, di mantenere una difficile coesione, per quanto traballante essa sia stata. Ed è per questo che gli ebrei, ad un certo punto della loro storia, fra le tante altre cose geniali che hanno fatto, hanno deciso di darsi come punto di riferimento delle scritture.
Naturalmente una buona parte dei contenuti che tali scritture avrebbero dovuto esprimere era già preesistente alla loro stesura in forma grafica e, come è normale nei popoli antichi, la loro conservazione e trasmissione era stata affidata ad una tradizione orale di cui i saggi erano i depositari. Ma una scrittura da leggere in pubblico, le cui frasi fossero da imparare a memoria e da ripetere innumerevoli volte, intorno alla quale la gente si sarebbe potuta incontrare, avrebbe offerto al popolo qualcosa di assai più concreto e tangibile che non la sapienza custodita da una ristretta elite di iniziati.
Quand'è che questa necessità si presentò con una urgenza irrinunciabile? La risposta è senz'altro all'epoca della formazione del regno, quando David tolse alla tribù di Beniamino l'egemonia per darla alla tribù di Giuda e scelse, o impose, Gerusalemme come capitale. E' questo il momento in cui gli scribi si sono rimboccati le maniche e hanno redatto i primi libri. Come minimo è questo il momento in cui diventano bianco su nero le storie di Abramo e di Isacco e, forse, molte altre cose.
Ovviamente gli scribi del "regno di dio" appena nato, sono spinti da una serie di esigenze molto precise. La coesione fra le genti del regno è precaria, la scrittura deve eliminare questo vizio congenito di Israele, essa non solo deve raccontar loro che essi sono figli dello stesso dio, ma figli di uno stesso padre umano, e Abramo, figura di cui non sapremo mai se è prodotta dalla fantasia o dalla storia, vince questo ruolo. A lui dio chiede delle prove molto dure, infine lo sceglie per dare origine al popolo a cui sarà affidata la missione.
Nel redigere queste scritture gli scribi compiono una sintesi colossale e fanno man bassa di tutto il materiale che possono raccogliere per rendere la loro opera nobile, grandiosa, venerabile, prestigiosa, autorevole. Oggi la Bibbia ci si presenta come parola di dio perché i suoi redattori furono spinti dalla necessità ideologica di farla apparire tale al giovane popolo di Israele.
Una parte abbondante della mitologia del vicino oriente confluisce in questa sintesi, non solo quella accadica, ovverosia quella dei popoli che condividevano con Israele la radice semitica, ma anche quella sumera, una etnia completamente diversa, con cui gli accadi avevano avuto a che fare a lungo. E così il quadro della genesi si apre con una scena assolutamente sumera, ovverosia con il racconto della trasgressione primordiale compiuta da Adamo e Eva nel giardino dell'Eden. E poi continua con il racconto del diluvio, che è letteralmente sottratto all'epopea sumera di Gilgamesh, poi ripresa dai babilonesi, in cui Noè si chiamava Ziusudra, Uta-napishtim, Atrahasis. Ed anche il racconto della torre di Babele ha come punto di riferimento gli ziggurat mesopotamici, mentre la confusione delle lingue sta senz'altro a rappresentare il disagio dovuto all'imbastardimento della società sumerica in seguito alla consistente infiltrazione accadica.
Un presupposto di grande importanza è la creazione fittizia di una continuità, o meglio, di una linearità. Una delle principali mistificazioni prodotte da questa esigenza è, per esempio, il fatto che gli ebrei avessero questa radice etnica unitaria e fossero un popolo prima ancora delle vicende dell'esodo. Sarebbero stati un popolo già in Egitto, un popolo schiavo e prigioniero da raffigurare con una buona dose di vittimismo ma, a parte il fatto che gli immigrati e gli emarginati della società egiziana non avranno certamente avuto vita facile né molto privilegi da condividere, si tratta di una rappresentazione del tutto falsata. Infatti non si trattava di un popolo omogeneo; né il loro stato poteva definirsi schiavitù secondo quella accezione del termine a cui siamo stati abituati dall'immagine latina, ovverosia dello schiavo inteso come oggetto subumano, che è proprietà privata del suo padrone, su cui quest'ultimo ha pieno diritto di vita e di morte. Abbiamo una subordinazione del tutto diversa, che non rispecchia questo cliché romano.
Al fine di ottenere l'effetto della continuità storica, le scritture abbondano di lunghi elenchi di patriarchi i quali, posti in fila in lunghe paginate, offrono una efficace suggestione didattica. E molti imparano a memoria, e ripetono all'infinito questi elenchi, finché essi realizzano un condizionamento psicologico che infonde nell'immaginario collettivo l'idea di appartenere ad un popolo che ha radici antiche, che ha una messaggio da trasmettere, che ha una eredità da salvaguardare.

Dopo avere costruito la figura chiave del padre della razza, Abramo, è necessario costruire quella del padre della nazione, Mosè. Ed è così che l'egiziano diventa ebreo, gli si innesta artificialmente la mitologia accadica del "salvato dalle acque", lo si fa salire sul monte Sinai per incontrare personalmente il dio dell'universo e prendere da lui le tavole della legge. E, sebbene una componente considerevole della teologia di Mosè abbia una derivazione dal monoteismo di Akhenaton, questa radice è completamente recisa e abbandonata nell'oblio. Esattamente come mille anni dopo, quando dal monoteismo ebraico, attraverso la sintesi sincretistica di San Paolo, si stacca la fede cristiana, che recide il suo cordone ombelicale e rinnega l'ebraismo, pur avendo derivato da quello una mole fondamentale del suo bagaglio teologico e scritturale.

Il leit motiv di questa base dell'identità etnico religiosa di Israele deve essere, senza mezzi termini, la continua regia di dio dietro le quinte del teatro storico. E così è, attraverso i suoi frequenti interventi. Quando manda le piaghe in Egitto, quando apre le acque del mar rosso, quando fa scendere la manna, quando ferma il sole in pieno cielo durante una battaglia, o guida la mano del pastorello David a colpire il gigante Golia.
I protagonisti umani che svolgono un ruolo fondamentale in questa storia sono quasi sempre ammantati da una cornice miracolosa, le loro nascite sono annunciate, le loro madri partoriscono pur essendo sterili, le loro gesta non sono completamente umane. Il prodigio è la chiave di autentificazione della scrittura, il sigillo di riconoscimento dell'autorità.
Le figure di Abramo e di Mosé si completano con quella di David, il padre politico, il messia, il costruttore del "regno di dio".
Anche in seguito, dopo lo scisma dei due regni che avvenne alla morte di Salomone, e quando il paese iniziò a subire un plurisecolare destino di dominazioni straniere, sotto gli assiri, i babilonesi, i persiani, i greci e i romani, le scritture sono caratterizzate da un fine primario: salvaguardare l'eredità nazionale, continuare a dimostrare che Israele è sempre, malgrado tutto, il popolo di dio, che il suo futuro gli riserva un riscatto. Il profetismo messianico, ovverosia l'attesa di un liberatore che ripeta la figura di David e ricostruisca il "regno di dio", diventa un motivo ricorrente, finché si trasforma in autentica ossessione e porterà, sotto la dominazione romana, ad una crisi fatale. L'imperatore Tito, interprete della esasperazione romana nei confronti di questo popolo, visto come affetto da una patologia teocratica maniacale, farà strage e rovina degli ebrei e della loro capitale, ed essi ricadranno improvvisamente nella condizione in cui si trovavano in Egitto, come emarginati vittime di una diaspora penosa.
E' il momento in cui l'eredità monoteistica di Akhenaton, che aveva subito una prima grande trasformazione con la sintesi biblica, subisce una seconda grande trasformazione con la sintesi cristiana. Occorreranno ancora cinquecento anni perché maturino in medio oriente le condizioni per la terza sintesi: quella coranica.
Adesso non vorrei essere accusato di ambizioni profetiche, perché è solo la ragione, e non la visione mistica, che mi suggerisce quando sarà la prossima tappa del monoteismo: quando il sistema commerciale globalistico avrà mostrato in modo drammatico la stridente contraddizione che esiste fra la promessa del benessere tecnologico e la crescita inarrestabile dei problemi planetari (demografici, economici, politici ed ecologici), facendoci vivere tragedie di dimensioni bibliche che oggi non abbiamo nemmeno il coraggio di immaginare. Allora nascerà una nuova sintesi religiosa e potrebbe addirittura darsi che l'essere supremo sia di nuovo rappresentato come un disco solare, circondato da una corona di raggi che scendono sulla terra e terminano con mani affettuose che carezzano le creature. E' una visione non lontanissima da ciò che accadrà realmente, nel millennio che sta nascendo.
Io, personalmente, sono già pronto. Ma il momento è ancora prematuro.
Firenze, 15/11/1999
David Donnini
Fonte

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Etichette: Bibbia, Mosè

Pubblicato da Fabry a 22:27  
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Black block e Indignados: pedine del nuovo ordine mondiale?

10/25/2011

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Armando Pascale tratto da: ildemocratico.com
“I cittadini hanno diritto di riunirsi pacificamente e senza armi” recita la nostra Carta costituzionale. Sabato 15 ottobre le televisioni di tutto il globo hanno rimbalzato le immagini di una città eterna in stato d’assedio: lacrimogeni, idranti, bombe carta, banche e uffici presi d’assalto. Il frammento italiano della rivoluzione mondiale degli indignados ha assunto un contenuto atipico rispetto alle parallele manifestazioni consumatesi in ogni angolo del mondo. Dalla vecchia Europa all’altra sponda dell’Atlantico le manifestazioni sono state caratterizzate da un anima pacifica, almeno nei limiti del possibile per una manifestazione che coinvolge grandi masse. Si potrebbe obiettare che a New York non sono mancati gli scontri con le forze dell’ordine ma, a onor del vero, nella grande mela la tensione persisteva da alcune settimane e lì la polizia  si è dimostrata fortemente risoluta ad arrestare centinaia di persone inquiete a pochi metri da Wall street. Ma si sa che la polizia nel paese della libertà non ha fama di essere particolarmente tenera.

A Roma invece le persone arrestate sono state 12. Pochine in proporzione ai milioni di euro di danni, alla risonanza mediatica degli scontri e all’effetto psicologico causato dalle immagini di questi nell’opinione pubblica. E pure da qualche giorno la Questura di Roma aveva lanciato l’allarme: alcune decine di facinorosi avevano già esternato le loro malsane intenzioni sui blog della rete e alcuni bus sono giunti nella capitale già colmi di giovani incappucciati in perfetto stile “black bloc”, secondo una terminologia nata poco più di un decennio fa a Seattle. Eppure l’azione preventiva delle forze dell’ordine ha fatto acqua da tutte le parti. Lo scrivente, da testimone oculare degli scontri di Piazza San Giovanni ha visto la longa manus dello Stato cedere gratuitamente  lo scettro del monopolio della forza a una centinaia di sedicenti crociati dell’indegnità globale. Le camionette della polizia si muovevano come guidata da un armata brancaleone su un campo di battaglia già devastato, girando su loro stesse come trottole impazzite, qualche timido spruzzo con l’idrante più adatto a un effetto scenico che a disperdere la folla.

Perché tutto ciò? L’Italia è divenuto ostaggio di un manipolo di violenti? Le forze dell’ordine nostrane sono davvero così inette da non saper affrontare un’emergenza annunciata?

La risposta a questi inquietanti interrogativi non è univoca ma, in linea di principio, è negativa. Si potrebbe avanzare la tesi, ardita ma non inedita, che all’interno di questi manifestanti vi siano infiltrazioni  “esogene” estranei al movimento. Come una sorta di moderni mercenari alcuni violenti potrebbero in realtà essere stati assoldati dall’alto, e con uno scopo ben preciso. Solo un’ennesima versione della teoria del complotto che vorrebbe screditare tutti i centri di potere costituiti? Non si può avere la presunzione fatale di rispondere a questa domanda senza adombrare il minimo dubbio. Tuttavia l’odore di marcio qualcuno l’aveva già percepito, alcuni mesi fa, nella culla del movimento indignado, quella Spagna che più di altri paesi europei ha sofferto la congiuntura economica mondiale.

Nel paese iberico l’apparente spontaneità del movimento è stata stroncata da un nome e un volto: quello di Enrique Dans. Studente modello, Dans ha studiato economia in atenei di eccellenza a stelle e strisce quali Ucla e Harvard. Indottrinato alle teorie consumistico-capitalistiche, il giovane spagnolo avrebbe poi avuto la sua “conversione sulla via di Damasco” a teorie decisamente più eterodosse. Peccato che Dans, autoproclamatosi condottiero della gente di Puerta del Sol abbia non solo un passato, ma anche un presente da collaboratore di gruppi finanziari multinazionali quali Barclays bank e Bancacivica. “Altri promotori del movimento 15M sono Javier de la Cueva, che ha lavorato a lungo con il quotidiano atlantista e neo-liberale El Pais, Carlos Sánchez Almeida, proprietario di un importante studio legale con sedi a Madrid e Barcellona, così come una serie di altri personaggi con collegamenti”. Il dato è tratto: il furore primaverile madrileno sarebbe stato solo la polveriera di un dissenso controllato e pilotato dall’alto. Una momentaneo valvola di sfogo per le masse che desse adito a piccoli cambiamenti socio-economici, inidonei a far collassare l’ordine economico mondiale che si sta combattendo. “manovrados” dunque, altro che “indignados”: migliaia di persone in balie di oligarchie del denaro che invece di abbattere l’iniquo sistema finanziario occidentale lo rafforzano nelle fondamenta.

Il 15 giugno un video in rete fa il giro del mondo. Durante un attacco dei mossos (la polizia  catalana) a un gruppo di manifestanti, in quel di Barcellona, vengono fermati 20 manifestanti violenti. Ma non appena questi vengono riconosciuti, vengono solamente allontanati dalle forze dell’ordine dopo una breve discussione verbale. Ecco allora che qualcuno ha denunciato la “teoria degli infiltrados”, ovvero dei mercenari assoldati per pilotare il movimento alla deriva o, comunque per sviarne gli scopi. Gli infiltrados sarebbero noti alla polizia e farebbero solo il loro “dovere”. Ma chi sono i mandanti? In Spagna si è parlato di banchieri e partiti minori (si ricordi che la miccia del movimento è stata la modifica della legge elettorale con il rialzo della soglia di sbarramento al 3%).

Ma l’ombra del nuovo (?) ordine mondiale delle oligarchie sulle manifestazioni iberiche non finisce qui. Si è notato come nella piazza di Puerta del Sol dove per giorni sono rimasti accampati gli indignati si siano presto formati dei particolarismi, partitici, sociali e addirittura sessisti. Piccoli comitati esecutivi di centri d’interesse pronti a sabotare le ragioni della piazza secondo il noto precetto “divide et impera”.

Questo agghiacciante background non è difficile da traslare in Italia dopo quello che si è visto a Roma sabato. I germi di un sabotaggio pilotato ci sono tutti anche nel nostro paese. Difendere lo status quo può spesso richiedere mezzi machiavellici. Ecco che allora le elite dominanti divengono capaci di qualsiasi macchinazione. Si può ipotizzare, alla luce delle incongruenze spagnole, che oggi in Italia qualcuno voluto prevenire un “golpe” troppo grande creando piccoli danni per prevenire danni maggiori. Infiltrare apparenti militanti violenti per diffamare un intero movimento e per demistificarne quella che probabilmente ne è la “giusta causa”. Dopotutto in Italia più che in altri paesi si respira un clima di insoddisfazione sociale , un’insofferenza al sistema politica, un anelito al cambiamento. Un mix esplosivo di congiunture, un terreno fertile per dare il “la” a una rivoluzione su grande scala. Ecco che allora le istituzioni, anche straniere in quanto timorose di un contagio, potrebbero avere interesse a far naufragare la barca prima che lasci il porto.

Solo un mucchio di cervellotiche elucubrazioni? Chi era a Piazza San Giovanni sabato potrebbe pensarla diversamente…

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La Libia sotto il tallone della NATO

10/24/2011

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Guarda anche: QUELLO CHE IN TV NON TI DICONO SULLA LIBIA
Le immagini della macellazione di Muammar Gheddafi sono il miglior commento sull’operazione militare dell’Alleanza atlantica in Libia. Alla ferocia dei macellai locali si somma l’immagine disgustosa di una classe dominante internazionale pronta a massacrare senza battere ciglio chi sino a ieri accoglieva con salamelecchi, trattati di amicizia, affari e baciamano. In queste ore gli analisti delle grandi testate giornalistiche e TV sono impegnati a neutralizzare anche storicamente la figura del leader libico, immergendo in un fiume di fango tutto ciò che è stato fatto in quel paese, nel bene e nel male, dalla liberazione dal giogo colonialista nel 1968 sino a pochi mesi fa.

Non ci siamo mai erti a difesa dell’indifendibile, date le vergognose scelte fatte dal governo libico nell’ultimo decennio. Il giudizio sulla leadership libica non ci ha fatto però perdere indipendenza di giudizio sullo scenario nel quale maturavano le condizioni della nuova aggressione.

Molti– anche nel movimento pacifista– sono apparsi come irretiti e prigionieri di una narrazione scritta dai vincitori di oggi, che ha ridotto ai minimi termini il numero di coloro che hanno scelto di battersi contro l’aggressione alla Libia.

Una scelta che rivendichiamo, che continueremo a portare avanti se in quel paese riprenderà una lotta di liberazione nazionale contro il nuovo colonialismo euro – statunitense.

Niente di quello che è successo in Libia in questi mesi, sarebbe stato possibile senza le decine di migliaia di bombe (dalle 40 alle 50mila) sganciate dagli aerei dell’Alleanza atlantica in oltre 10mila missioni di attacco sulla testa di quei libici che avrebbe dovuto “difendere”. Nessuna città sarebbe stata “liberata” senza il supporto a terra di migliaia di soldati e mercenari italiani, francesi, inglesi, impegnati sia nelle retrovie, sia sul fronte, a sostenere una banda di tagliagole denominati “ribelli”, “rivoluzionari” dalla stampa embedded. Le uniche strutture militari di una qualche consistenza sono quelle dei fondamentalisti islamici addestratisi in Iraq e Afghanistan, ora insediati a Tripoli, Sirte, Bani Walid e altre città devastate dai combattimenti.

Se le immagini che i mass media occidentali ci propinano in questi giorni hanno un qualche fondamento, con le migliaia di persone che festeggiano il bagno di sangue impugnando insieme alle bandiere dell’ex re senussita quelle inglesi, francesi, statunitensi e italiane, allora saremmo di fronte a diverse leadership locali sostenute da una base di massa reazionaria, lieta di tornare sotto la tutela dei colonialisti di ieri. Non sarebbe la prima volta nella storia.

Dubitiamo fortemente di tutto ciò che ci propina la macchina da guerra mediatica al servizio della NATO, per cui ci riserviamo di esprimerci in merito, in attesa degli sviluppi, che promettono altro sangue e guerra.

A ventiquattro ore dal massacro di Gheddafi il Presidente degli Stati Uniti comunica al mondo il ritiro totale delle truppe dall’Iraq, mettendo la parola fine a una guerra persa.

La situazione in Afghanistan, a oltre dieci anni dall’inizio delle ostilità, evidenzia una situazione di stallo strategico sul piano militare. Per la potentissima alleanza impegnata a occupare quel paese ciò significa un’ulteriore, cocente, sconfitta.

La Libia del futuro promettere di essere una nuova polveriera, a poche miglia marine dalle coste del Bel Paese. La vittoria di oggi potrebbe riservare nuove delusioni per gli apprendisti stregoni della NATO.

Nonostante tutto questo i paesi occidentali, forti delle loro alleanze militari, continuano nella loro opera di “democratizzazione” del mondo, attraverso le loro “operazioni di pace” lanciate per “proteggere” i civili.

I mass media nostrani ci dicono che i popoli della Siria, del Libano, dell’Iran attendono trepidanti la prossima liberazione.

Le fucine dei filosofi, degli strateghi militari e di Finmeccanica sono già al lavoro, onde abbreviare i tempi di attesa per la prossima missione.

La Rete nazionale Disarmiamoli!

www.disarmiamoli.org info@disarmiamoli.org

http://www.lsmetropolis.org/2011/10/la-libia-sotto-il-tallone-della-nato/


Tratto da: La Libia sotto il tallone della NATO | Informare per Resistere http://informarexresistere.fr/2011/10/24/la-libia-sotto-il-tallone-della-nato/#ixzz1bhNyH600
- Nel tempo dell'inganno universale, dire la verità è un atto rivoluzionario!
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CHE TIPO DI ORRIBILI ARMI HA USATO ISRAELE IN LIBANO?

10/24/2011

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DI NADA SAYAD
Samidoun Media Center - Global Research

Alcuni dubbi sono stati espressi a riguardo dell'uso da parte di Israele di armi internazionalmente proibite nella sua guerra contro il Libano.

Il South Medical Complex a Saida sta investigando questa questione. Sta esaminando 24 campioni da cadaveri che sono stati colpiti nell'area del Libano meridionale per scoprire la natura delle sostanze che hanno portato alla loro morte.

In una telefonata fatta da "Assafir", il locale quotidiano Libanese, il dottor Omar Morabi, presidente dell'Associazione per l'Amicizia Belga-Libanese a Bruxelles, ha detto che una missione dell' Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) sarebbe andata in Libano con l'intento di prendere campioni da cadaveri nel Libano meridionale

L'Associazione si è attivatadopo aver ricevut o un resoconto e alcune fotografie dal dottor Bachir Cham, presidente del Said Medical Complex, e ha tentato di fissare un incontro col segretario dell'Onu Kofi Annan. L'associazione ha sottoposto ad Annan il resoconto insieme con le fotografie.

Il dottor Morebi e i suoi colleghi hanno tenuto una conferenza stampa al quartiere generale dell'Unione Europea a Bruxelles e rilasciato alla stampa internazionale un rapporto completo con tanto di fotografie, nel tentativo di attivare l'archivio riguardante l'uso di sostanze velenose. Dr. Azmi Imad, il capo del dipartimento per la Salute Ambientale dell' American University a Beirut, ha spiegato che solitamente i gas usati nelle armi hanno un effetto simile a quello dei pesticidi. Ma il dottor Imad non ha potuto affermare, basandosi sulle fotografie delle vittime dei massacri Israeliani nel sud, se Israele stia usando armi chimiche o biologiche (batteriche o virali) nella sua guerra contro gli Libano.

Queste sostanze sono classificate a seconda dei loro effetti: quelle che causano bolle sulla pelle (sollevazione della pelle che diventa staccata e piena di fluido), quelle che paralizzano i nervi, che causano emorragie interne, soffocano e impediscono la respirazione e causano deterioramento della pelle, di polmoni e intestini, e altre che causano diverse malattie. Paragonare queste sostanze ai pesticidi è dovuto alle similitudini dei loro effetti:essi paralizzano i nervi, bloccano la capacità di respirare e possono causare emorragie interne e bolle sulla pelle.

Data la situazione, il dottor Imad ha detto ai soccorritori delle squadre di emergenza che devono pulire la pelle dalle bolle, che in normali circostanze dovrebbero essere pulite con soluzioni come acqua o cloro, ma in situazioni di emergenza è possibile rimuovere queste bolle (che solitamente somigliano a macchie oleose) con un bastoncino di legno o un altro attrezzo simile. Questo processo di pulizia è essenziale per la sicurezza dei soccorritori e della squadra medica. E’ essenziale per proteggere i soccorritori dall'esposizione.

Imad spiega che ognuna di queste sostanze ha le sue caratteristiche e i suoi sintomi: la perdita della capacità di respirare risulta in labbra e viso cianotici, alta temperatura corporea e crampi muscolari, in aggiunta ad altri segni che appaiono dopo tre o quattro ore. Imad aggiunge anche che ogni sostanza ha la sua cura adatta e lascia essa agli specialisti che forniranno le informazioni ai soccorritori e agli ospedali.

Imad afferma che raccogliere le prove è cruciale; è essenziale trovare campioni di ciò che rimane non solo dalle biopsie dei cadaveri ma anche dalla scena dove sono stati trovati i corpi, per scoprire se le sostanze usate fossero chimiche o biologiche. E spiega anche che l'area interessata rimane inquinata per almeno 8 ore. Mentre sottolinea la necessità di usare guanti e maschere se c'è un qualche dubbio dell'esistenza di sostanze velenose che potrebbero essere state disperse nell'aria entro un raggio di 200-250 metri dal punto esatto dell'esplosione.

Sono state usate Armi Elettromagnetiche in Libano?

C'è una mancanza di risorse per intraprendere i necessari esami e test sulla natura delle armi usate da Israele in Libano. Nell'assenza di una prova definitiva, sono state indicate alcune linee di indagine degne di interesse.

Lo scorso maggio il canale televisivo italiano “Ray News 24” ha trasmesso un'inchiesta fatta da giornalisti in Iraq riguardante l'uso di un nuovo tipo di arma sperimentale. Quest' ultima consiste di raggi di onde elettromagnetiche corte simili alle onde prodotte dai dispositivi a microonde utilizzati per uso domestico.

Questo tipo di raggi è diretto su obiettivi umani. Quando la persona viene colpita, i nervi sotto la sua pelle ne risultano coinvolti, portando alla paralisi del sistema nervoso. Inoltre, le microonde alzano la temperatura corporea attraverso il riscaldamento dell'acqua nelle cellule. È lo stesso processo impiegato nelle microonde ad uso domestico, ma su persone vive!

L'inchiesta, che viene ora investigata dal Strategic Research Institute in California, un centro di ricerca privato e indipendente, spiega che questo tipo di armi causa lo smembramento delle parti corporee colpite e ciò che somiglia a bruciature su diverse parti del corpo, mentre i medici non riescono a trovare alcuna parte solida della bomba.

Bret Wagner, il direttore del Research Insitutute ha definito quest'arma il Raggio della Morte. Wagner indica in un articolo pubblicato che: “quest'arma lavora alla velocità della luce ed è capace di colpire obiettivi da una grande distanza, esponendo gli esseri viventi a microonde che portano alla loro esplosione..” Ciò spiegherebbe i grandi danni che i medici hanno osservato esaminando i cadaveri.

Inoltre l'inchiesta televisiva sull’ Iraq parla di riduzione della massa corporea dei cadaveri risultante dall'uso di quest'arma. Wagner attribuisce all'esposizione ai raggi elettromagnetici anche la fusione e l'aspetto distorto di macchine a autobus presenti sulla scena della battaglia.

Alcune inchieste indicano che un tipo simile di arma fu sviluppato dall'Unione Sovietica. Consisteva in un potente raggio usato nella guerra tra Unione Sovietica e Afghanistan (1980-1989) . Esso aveva la capacità di penetrare sottoterra in rifugi e caverne, dove poteva raggiungere i suoi obiettivi nascosti. L'inchiesta spiega anche che quando l'obiettivo umano viene colpito, si ottiene un'immediata morte attraverso il deterioramento del sistema nervoso e l'uccisione delle cellule vive nel corpo, batteri inclusi. Questo spiegherebbe perché i corpi sono rimasti ben preservati per un periodo che va tra i 30 ai 45 giorni.

Wagner aggiungere nel suo rapporto che il segretario alla difesa Donald Rumsfeld ha confermato che gli Usa hanno sviluppato questo tipo di arma, anche se ha affermato alla stampa che essa è ancora nelle fasi iniziali di sviluppo. Non nega però la possibilità che possa essere stata sperimentalmente testata dall'esercito, senza previa autorizzazione. Wagner sta ora cercando di convincere il congresso Usa a proibire l’uso di questo tipo di arma. Raccomanda anche che quest’ arma venga proibite internazionalmente perché provoca un intenso dolore prima della morte, il criterio adottato dagli International Treaties on the Prohibition of Chemical and Poisoned Gas Weapons [trattati internazionali sulla proibizione delle armi chimiche e con gas velenosi n.d.t.].

Sarebbe questo che Israele sta usando contro di noi?

Che tipo di armi Israele usa contro di noi nell’ assalto contro il Libano?

In che modo Israele sta uccidendo i Libanesi?

Una domanda a cui i medici nel sud stanno cercando di trovare una risposta, dato che stanno ricevendo i corpi privi di vita delle vittime, specialmente di quelle colpite lungo le strade dagli aeroplani.

Estremità lacerate, odore terrificante, segni di bruciature senza che siano state veramente bruciate... Una morte rapida causata da uno spegnimento improvviso del sistema nervoso accompagnato dalla coagulazione del sangue che impedisce le emorragie. Alcuni osservatori hanno suggerito che Israele potrebbe star usando un qualche tipo di gas tossico o di munizioni chimiche nelle bombe dirette ai civili.

Il "South Medical Complex" ha preso l'iniziativa di mandare biopsie provenienti dai cadaveri delle vittime del massacro di Rmeileh [vedi foto in basso n.d.t.] in modo che vengano esaminate per rivelare la verità.

Aspettando i risultati il giornale “Assafir” è in comunicazione diretta con i medici degli ospedali nelle varie regioni del Libano in modo da raccogliere testimonianze sui casi che stanno esaminando. Alcuni medici che hanno esaminato i corpi di coloro che sono stati uccisi dagli attacchi aerei hanno già indicato il loro stupore, ma non hanno potuto identificare la natura dei casi ricevuti a causa dell'assedio, della mancanza di materiale da laboratorio, o perché questi sono casi mai registrati in precedenza. Mentre alcuni medici trovano improbabile che Israele abbia usato nella guerra contro il Libano armi chimiche o al fosforo, fonti dell'Esercito Libanese hanno menzionato “bombe” con dei contenuti speciali, alcuni dei quali sono proibiti internazionalmente.

Mentre il Dr. Hassan Wazni, manager dell'ospedale pubblico Nabatieh, ha parlato della possibilità che siano state usate le cosiddette “Bombe Svuotanti”. Queste bombe svuotano i corpi dall'aria, fermando il respiro della persona e perciò portando ad un immediato attacco cardiaco.

Nello stesso tempo, avremmo bisogno di portare avanti l'inchiesta riguardante il possibile uso, da parte degli Stati Uniti in Iraq, di armi elettromagnetiche.

Versione originale

Nada Sayad
Fonte: http://www.samidoun.org/
Link: http://www.samidoun.org/?q=node/133
03.08.2006

Versione parzialmente modificata da Global Research:

Fonte: http://globalresearch.ca/
Link
23.08.2006

L'AGGRESSIONE ISRAELIANA DEL LIBANO - LUGLIO 2006 - Sapete che tipo di armi hanno causato questi danni?

A CURA DI AS SAFIR

Continua....
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La DEMENZA UMANA. Indignati rovinati dai teppisti dei CENTRI SOCIALI.

10/15/2011

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Sicuramente il senso dell'INDIGNATOS DAY è sfumato. Fortunatamente doveva essere una presa di coscienza che i TOTALITARISMI e IDEOLOGIE fossero complice di questo sistema CAPITALE del quale le BANCHE costituiscono simbolicamente uno dei mali più grandi. Dovevamo essere UNITI sotto la NEUTRALITA'  ed invece i soliti gruppi estremi della ESTREMA SINISTRA hanno infangato questo PENSIERO mettendo a TERRA E FUOCO un messaggio di CONTRARIETA' a chi rappresenta il VERO SENSO degli INDIGNATOS.
Adesso grazie a questi SBALLATI che fanno i rivoluzionari con la carta di credito del papà e che sono tra i capitalisti più IPOCRITI daranno possibilità ai MEDIA di far notare che sono GRUPPI che vogliono solo fare DISORDINI senza alcun scopo, BISOGNEREBBE NON RICONOSCERE coloro che si fanno strumentalizzare sotto FALSE BANDIERE che sappiamo COMPLICI DA SEMPRE DEL SISTEMA.
Qui si tratta proprio di GENTE che è MANOVRATA da un SISTEMA che vuole RAGGIUNGERE OBBIETTIVI da questi disordini CONVINCENDO le MASSE che queste MANIFESTAZIONI sono ORGANIZZATE da DELINQUENTI che sono PERICOLOSI per la FINTA DEMOCRAZIA che loro PROCLAMANO.

In AMERICA fortunatamente hanno dato il senso a questa MANIFESTAZIONE.
Fortunatamente era per risveglio delle persone che ha un senso di unione e buon senso.
Il prossimo video sottolinea che con MANIFESTAZIONI PACIFICHE si SOTTOLINEA la FALSA DEMOCRAZIA e ABUSO DEL POTERE CAPITALE di chi democraticamente si RIFIUTA e si INDIGNA.
L'OPINIONE PUBBLICA in questo modo si fa una IDEA diversa e magari forse potrebbe arrivare a capire di SMETTERE di ACQUISTARE BENI DI CONSUMO dalle PADRONI MULTINAZIONALI (CORPORATION) finanziate dalle BANCHE di proprietà degli stessi AZIONISTI che COMPLOTTANO contro l'umanità per il DOMINIO GLOBALE. Inizierebbero andare in bicicletta, SVUOTEREBBERO i loro CONTI CORRENTI BANCARI.... per poi avviarci alla USCITA del utilizzo del PETROLIO come energia tornando a vecchie RISORSE come la CANAPA ed a NUOVE TECNOLOGIE in maniera di lasciare sul lastrico costoro.
Purtroppo la verità che ci lamentiamo, distruggiamo nelle piazze i valori e l'ambiente acquistando prodotti di consumo e facendoci indebitare per soddisfare il nostro individualismo che hanno installato sul nostro cervello quindi la via d'uscita è lunga se DEMENTI approfittano per sfogare i propri valori MARXISTI, COMUNISTI, FASCISTI e NAZISTI o di DEMENZA PACIFICA basata su FINTI VALORI che i GOVERNI ed CAPITALISMO impone per ottenere il proprio PROFITTO.

Adesso i GIORNALI SOTTOLINEANO questi SCONTRI e nel frattempo il PARLAMENTO e i DEPUTATI si strofinano le mani pensando che avranno via libera a farsi NUOVE LEGGI per AVER VANTAGGI e BENESSERE approvando quello che BANCHE, CORPORAZIONI e i soliti AZIONISTI gli chiedono in cambio.

Distruggiamo l'ignoranza se vogliamo VINCERE.
Ivan Leo

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"Disease Mongering: creazione di malati": la strategia principe di controllo globale!

10/9/2011

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- Abbassamento dei valori di normalità (pressione, colesterolo, diabete, trigliceridi, ecc.)
- Screening di massa che anticipano nel tempo le diagnosi, senza ridurre la mortalità
- Invenzione di vere e proprie malattie.
Ecco come creano milioni di nuovi malati ogni anno.

Preso da: www.disinformazione.it
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