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Il Portaborse: “L’Opus Dei e le relazioni con la politica in Campania”

10/9/2012

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Pubblicato su 8 ottobre 2012 da INFOSANNIO
Chi muove i fili nella Campania di Caldoro e del post-bassolinismo? Per provare a rispondere diamo un’occhiata a uomini e strutture che orbitano nella costellazione caldoriana. Con alcuni nomi già noti è in particolare un’organizzazione ad imporsi. Di essa spesso si parla in Italia, la si conosce di meno aNapoli. Ed invece sotto il Vesuvio ha molte centrali e forti influenze: è l’Opus Dei.

Raffaele Calabrò, uno & trino
Il principale punto di riferimento è Raffaele Calabrò: madre (Elisa), sorella (Lea), moglie e cognato sono tutti appartenenti all’Opus Dei. Calabrò è ordinario di cardiologia alla Sun e primario di Cardiologia all’ospedale Monaldi. La sua carriera politica è lunga come quella medica e universitaria: introdotto da Paolo Cirino Pomicino in una Napoli travolta da tangentopoli negli anni ’90, Calabrò entra in politica come volto nuovo della società civile: eletto consigliere regionale con Forza Italia nel ’95, col governatore Rastrelli è prima Assessore alla Sanità (’95/’97) e poi Presidente del consiglio regionale (‘98). Nel 2008 fa il grande salto al Senato col Pdl, ma poco prima, nel 2006, non ha disdegnato di approdare nella Margherita di Rutelli: sempre in quel periodo viene nominato presidente della Commissione di controllo sugli atti amministrativi delle Asl, nomina del presidente Antonio Bassolino. Nel 2007 abbandona il centrosinistra per tornare all’ovile berlusconiano. Ultima annotazione: nel 2011 firma con Roberto Formigoni una lettera aperta per chiedere ai cattolici di sospendere ogni giudizio morale nei confronti di Silvio Berlusconi, sotto processo a Milano.

Gli amici degli amici…
Quando Calabrò diviene assessore negli anni ‘90 gode già del sostegno di amici influenti dell’Opus Dei: in primis i magistrati di stretta osservanza Maria Lidia De Luca (di cui parliamo più avanti a proposito dell’Istituto Belforte) e Raffaele Raimondi. Con Calabrò non mancano gli imprenditori. I più influenti sono alcuni costruttori, coinvolti nei casini di tangentopoli e notoriamente seguaci del verbo di Josemaria Escrivà de Balaguer: si tratta di Bruno Brancaccio e di suo cognato Bruno Capaldo.
All’esordio in giunta, Calabrò insedia in segreteria Letizia Balsamo, sorella del costruttore Isidoro (Balsamo Costruzioni Generali, azienda molto vorace nel post-terremoto), ma soprattutto moglie del’ingegner Vincenzo Mario Greco, coinvolto  negli impicci di Pomicino.

L’evergreen: Paolo Cirino Pomicino
Inutile ripercorrerne tutta la “fulgida” carriera. Ecco solo alcuni trascorsi recenti: dopo tangentopoli torna nell’arena con Clemente Mastella che lo candida nell’Udeur alle elezioni per l’Europarlamento nel 2004. Due anni dopo, il gran ritorno a Montecitorio. Come ? Grazie alla solida alleanza con il Nuovo Psi, partitino fondato da Stefano Caldoro, che lo crea da una delle tante costole della diaspora post-craxiana. Candidato a Napoli, Pomicino è eletto senza preferenze mentre Caldoro rimane (temporaneamente) fuori dalla Camera. Con la fine della breve legislatura prodiana, anche Stefano torna tra gli scranni che contano. L’asse con Caldoro è il jolly di Pomicino: nel marzo 2011 ‘O Ministro è nominato Presidente di Tangenziale Napoli Spa. Il governatore non c’entra nulla con la nomina, ma c’è da scommettere che, se la regione fosse ancora nella mani di Bassolino, la designazione sarebbe stata diversa. Ovviamente Pomicino è da tempo legato all’Opus Dei. Non a caso ha introdotto Calabrò in politica.

Il redivivo: Nello Polese
Vecchio arnese della prima repubblica, sindaco di Napoli in anni bui, si dimette nel 1993: vanta 3 mesi di galera, oltre 20 processi e la sospensione dall’università. Ma tra assoluzioni, peregrinazioni e proscioglimenti vari, nel febbraio 2011, grazie all’amico Stefano Caldoro eccolo nominato capo dell’Eav, la più grande azienda di trasporti dopo le ferrovie di stato. Oltre 4mila addetti, un buco di 500 milioni di euro creato da Bassolino & C., Eav è l’azienda regionale più importante. Come se non bastasse il figlio di Nello, Arturo Polese, guida in regione il Nucleo di valutazione sui Fondi Ue. Padre e figlio, inutile dirlo, sono vecchi e consolidati conoscenti dell’Opus Dei. I loro incarichi sono da capogiro nella Campania prossima al crac.

Istituti, scuole, università: a Napoli si “studia” Ovra
A Napoli, con università di grande prestigio (Federico II, Sun, Parthenope, Suor Orsola Benincasa, Orientale), sono attive residenze universitarie, istituti di ricerca e scuole di alta formazione. Si tratta di strutture selettive, accessibili a pochi, conosciute ma non certo aperte a tutti. Vantano un timbro determinante: Opus Dei.  Vediamo quali sono e cosa fanno:

Istituto Belforte
È nel quartiere borghese del Vomero, voluto e pensato solo per le donne. Ospita elementari, medie e liceo linguistico. È affiliato alle Residenze Rui, centri nevralgici dell’Ovra in tutta Italia. Diretta dalla ferrea militante opusdeista Maria Ruju, per anni ha avuto tra i propri riferimenti Nober Manoukian, capitano d’industria e figura di primo piano nell’Opus Dei, più volte celebrato al Torrescalla (residenza universitaria fin dagli anni ’60 sponsorizzata da Silvio Berlusconi e Marcello Dell’Utri). Tra le attività della Belforte ci sono i corsi di giornalismo dove sgomitano per fare lezione i direttori delle testate che contano. L’Istituto per anni ha fatto da promoter ad “Euripe”, evento promosso a Napoli con la motivazione formale di fornire orientamento universitario, ma all’atto pratico funzionale al selezionato proselitismo dell’Ovra. Belforte è legata all’Arsef (Associazione Regionale Studio Educazione e Famiglia) che nel gennaio 2005 è stata inclusa nell’elenco dei soggetti accreditati dal Miur (Ministero Istruzione, Università, Ricerca Scientifica). Vice Ministro era un certo Stefano Caldoro. Nel Consiglio di Amministrazione figura Lea Calabrò, sorella di Raffaele.

I.P.E. / Istituto per le ricerche e le attività educative
Nasce a Napoli nel ’79 su input di professori, professionisti ed imprenditori: sulla carta è un ente morale ma non disdegna soldini pubblici, a cominciare dalla regione. Una prova ? Sul Burc (bollettino regionale) del 2010: 6mila euro (cifra esigua, ma elargita da Caldoro in una Regione con deficit da record). Presidente dell’Istituto è Raffaele Calabrò, che tra le molteplici cariche che ricopre vanta quella di consulente di Caldoro per le politiche sanitarie. Sulla carta la consulenza è gratuita, ma come abbiamo visto l’Istituto guidato da Calabrò prende spiccioli ricavati dalle tasse dei contribuenti. La Campania ha una sanità indebitata e commissariata, in giunta non c’è un assessore al ramo: è Caldoro il commissario, ma chi governa i processi è il professore-primario-senatore, la stella più luminosa dell’Opus Dei partenopeo. Nel Cda dell’Ipe, poi, ci sono almeno quattro opusdeisti conclamati: Luigi Cuccurullo, ordinario anatomia patologica alla Sun; Maria Lidia De Luca, magistrato; Mario Spasiano, ordinario diritto amministrativo alla Sun; Lorenzo Burdo. All’apertura della nuova ed esclusiva sede in pieno centro a Napoli, avvenuta nell’ottobre 2003, ospite d’eccezione è il Sottosegretario di Stato Stefano Caldoro.

Residenze universitarie “Monterone” e “Villalta”
Sono entrambe dell’Ipe: Monterone è in via Crispi, esclusiva strada con palazzine in stile liberty, ed è per soli uomini; Villalta si torva non lontano, nell’altra elitaria arteria di via Martucci, ed è riservata alle donne. Attuando la rigida separazione tra i sessi, imposta dal ferreo regime dell’Ovra, i due collegi sono super-selezionati. Ospitano solo 50 studenti, la retta annuale per studio, vitto e alloggio è sui 7mila euro circa. Le stanze somigliano a quelle degli hotel 5 stelle, non certo agli ostelli della gioventù. Donne e uomini che si “formano” nei due campus/collegi non faticano a trovare lavoro e, soprattutto, non lo trovano a livelli umili: entrano in aziende ed istituzioni dalla porta principale. Le due università sono la fucina dell’Opus Dei che, così, seleziona, disciplina e forma la classe dirigente del futuro. Girando sul web si può scaricare una brochure aggiornata con i numeri dei laureati assunti dai grandi aziende e gruppi industriali nei settori più disparati. L’Ipe non a caso vanta numerosi partner: banche, società di revisione, grandi multinazionali, aziende leader dei mercati. Sui siti web dei due collegi universitari appositi spazi sono riservati all’ideologia dell’Ovra e soprattutto al “percorso” spirituale di formazione che essa offre. Ufficialmente chi entra in collegio non ha obblighi, ma agli iscritti viene “consigliato” ripetutamente di intraprendere il viaggio introspettivo dell’Ovra.

Questo resoconto vuole contribuire a farcapire cosa succede in Campania e chi controlla Napoli al tempo di Caldoro. L’Opus Dei, fondata nel 1928, è una prelatura personale della Santa Sede. Non spetta a me sapere e dire se fa cose lecite o meno. Qualcuno la chiama la “mafia santa”, a ciascuno il suo giudizio. Mi limito solo a divulgare notizie utili ed attuali che spiegano quanto è influente e fin dove si estende il potere dell’Ovra sotto il Vesuvio.

 Elenco opus Napoli

http://ilportaborse.com/2012/10/lopus-dei-e-le-relazioni-con-la-politica-in-campania/

Articolo preso da:
 http://www.facebook.com/photo.php?fbid=10151047003112382&set=a.86463527381.97072.71253357381&type=1

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Terremoto, procura apre indagine su “possibili trivellazioni abusive” 

6/6/2012

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Preso da Il www.ilfattoquotidiano.it | di Stefano Santachiara
Dopo diversi esposti di cittadini, gli accertamenti del pm di Modena Musti riguardano ipotetiche attività di fracking soprattutto attorno la zona di Rivara. Lì era in progetto un deposito di gas della Erg, fortemente appoggiato da Carlo Giovanardi. Ma l'azienda smentisce: "A scavare erano persone non autorizzate, non noi"

Più informazioni su: Carlo Giovanardi, Corrado Clini, deposito gas, Erg, fracking, Franco Ortolani, inchiesta, indagine, perforazioni, perforazioni abusive, Petrolio, procura di Modena,rifondazione comunista, Rivara, terremoto, trivellazioni.
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La procura di Modena ha avviato un’indagine per verificare se sono state effettuate trivellazioninelle zone interessate dal terremoto. Gli accertamenti, aperti formalmente dopo esposti di cittadini che segnalavano alcune attività di perforazione, rientrano nel fascicolo senza ipotesi di reato (a modello 45) aperto dal procuratore aggiunto Lucia Musti dopo la prima scossa del 20 maggio.

L’inchiesta si affianca ai filoni principali di Ferrara, Modena e Bologna coordinati dal procuratore generale Emilio Le Donne, sulla violazione delle norme antisismiche e urbanistiche relative ai capannoni crollati anche il 29 maggio in un terremoto infinito che ha già provocato 26 vittime. Le nuove verifiche si inseriscono in una materia incandescente oggetto di dibattito scientifico. Molti esperti del settore, la parte maggioritaria dei geologi e le compagnie petrolifere, garantiscono che il problema non esiste perché le tecniche di perforazione più invasive non sono autorizzate in Italia e, ove praticate, non risulta un collegamento con terremoti di sesto grado della scala Richter.

Tuttavia alcuni studi hanno evidenziato una relazione tra sisma a bassa magnitudo e trivellazioni con la tecnica della frantumazione, dall’inglese fracking o hydrofracking. Si tratta dello sfruttamento della pressione di fluidi di tipologia chimica iniettati in uno strato roccioso per creare una frattura nei giacimenti di petrolio e di gas. Le fratture sono tenute aperte introducendo materiali come sabbia e ghiaia per impedire alle rocce di richiudersi con l’abbassamento di pressione. Tra i possibili effetti dei cedimenti del terreno ci sarebbero anche le oscillazioni sussultorie e ondulatorie denominate‘scosse’ di assestamento.

Uno studio del professor Franco Ortolani, ordinario di Geologia dell’Università Federico II di Napoli e direttore del dipartimento di Scienza del territorio, ritiene opportuni approfondimenti, fra gli altri, “sull’incidenza che possono avere le reiniezioni di fluidi in pressione nelle rocce serbatoio ad alcuni chilometri di profondità in corrispondenza di faglie attive: equivale al ruolo che può avere una mosca che si appoggi su un edificio pericolante oppure all’impatto che può derivare da un elicottero che atterri sullo stesso edificio pericolante? Tali considerazioni vanno fatte con l’apporto di studi scientifici indipendenti e qualificati”.

L’ampia indagine conoscitiva della Procura di Modena, in via preliminare, mira a verificare se vi siano state perforazioni abusive sul territorio, che ad esempio nella Bassa presenta giacimenti petroliferi, mentre nella provincia di Ferrara è ricco di gas. La multinazionale inglese Erg rivara storage srl (Ers), giocando d’anticipo, in questi giorni ha garantito di non aver effettuato perforazioni in relazione al progetto di un maxi-deposito sotterraneo di gas a Rivara di San Felice sul Panaro. Il progetto, appoggiato in particolare dal senatore Carlo Giovanardi e una parte del Pdl e avversato in questi anni da ambientalisti, Rifondazione comunista e Movimento Cinque Stelle, è stato bocciato dalla Regione Emilia Romagna e nei giorni scorsi dal ministro dell’AmbienteCorrado Clini che pure esclude un collegamento con il terremoto.

Le trivellazioni autorizzate nel 2008 avevano sollevato le perplessità dell’assessore provinciale all’Ambiente Alberto Caldana (Pd), interpellato da Stefano Lugli (Fed) sulle attività condotte dall’istituto nazionale di Geofisica e Vulcanologia (Ingv) e sul progetto di ricerca per idrocarburi della multinazionale americana Forest Oil-Cmi Spa. Caldana, poi costretto alle dimissioni per la vicenda riguardante una dirigente del suo ufficio condannata per il rimborso indebito di 30 euro di buoni pasto, pur chiarendo che si trattava di “sondaggi su terreni agricoli privati effettuati all’interno di un progetto di ricerca autorizzato” e non concernenti il maxideposito di gas, esprimeva perplessità, in generale, per “un evidente assalto al territorio di Finale Emilia e della bassa finalese”.

”Nonostante le numerose smentitesullo svolgimento di qualsiasi attività, sistematici interventi di disinformazione sulla stampa e su internet hanno coinvolto Ers con gravi ripercussioni sull’immagine e onorabilità della società e dei suoi azionisti. Purtroppo le Autorità locali responsabili hanno gravemente tardato nello smentire attività illegali quali le perforazioni senza autorizzazione”. Lo dice una nota di Erg Rivara Storage (Ers), dopo la notizia che la magistratura ha avviato un’indagine conoscitiva, senza ipotesi di reato, per chiarire se siano state fatte o meno trivellazioni per il progetto di mega deposito di gas a Rivara nel Modenese.

Progetto che nei giorni scorsi, dopo il sisma, è stato definitivamente accantonato con lo stop alle autorizzazioni dato dal ministero dello sviluppo economico, che ha preso atto del no della Regione Emilia Romagna. Ma dopo la notizia del fascicolo della Procura di Modena, stamani Ers ha diffuso un testo in cui “plaude all’iniziativa della Magistratura che, a quanto appreso da note di agenzia stampa, verificherà se sono state svolte attività geologiche non autorizzate nell’area coinvolta dal terremoto in Emilia, in riferimento al permesso di ricerca sismica chiesto dalla Società. Ers ribadisce che non ha effettuato alcuna attività di esplorazione sul territorio di Rivara, e non avrebbe potuto perchè il ministero dello Sviluppo economico, decisore finale nell’ambito della procedura amministrativa, non l’aveva autorizzata a fare alcunchè. Vista la gravità dell’accaduto la Società Ers auspica che la Magistratura riesca anche ad identificare i responsabili della diffusione di notizie palesemente prive di ogni fondamento ed è a disposizione dei magistrati per offrire la massima collaborazione”.
Preso da Il www.ilfattoquotidiano.it | di Stefano Santachiara 

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Italia. Aumento export di armi e diminuzione della trasparenza

5/13/2012

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di  Emanuela Santilli
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ROMA - Rete Disarmo e Tavola della Pace analizzano il Rapporto 2012 del Governo hanno reso noto un dossier dove viene identificato  come avviene l’ aumento delle esportazioni di armi italiane verso le zone di maggior tensione del mondo  e come si limita l’informazione fornita dal Governo.


Un preoccupante incremento di autorizzazioni all’esportazione di armamenti verso le zone di maggior tensione del pianeta – dal Nord Africa al Medio Oriente fino al sub-continente indiano, un’inspiegabile sottrazione di informazioni riguardo alla tipologia dei materiali esportati e una serie di cifre che sono smentite dalle stesse tabelle allegate ai documenti ufficiali. E’ quanto denunciano la Rete italiana per il disarmo e la Tavola della pace a commento del “Rapporto del Presidente del Consiglio sui lineamenti di politica del Governo in materia di esportazione, importazione e transito dei materiali d’armamento” per l'anno 2011, pubblicato nei giorni sc orsi dall’Ufficio del Consigliere Militare del Governo. Le due reti, che rappresentano oltre un centinaio di associazioni nazionali, chiedono al Governo Monti un “incontro urgente” sulle politiche delle esportazioni militari del nostro paese in ottemperanza all’impegno – ribadito nel Rapporto – di “continuare il dialogo con i rappresentanti delle Organizzazioni Non Governative (ONG) interessate al controllo delle esportazioni e dei trasferimenti dei materiali d’armamento con la finalità di favorire una più puntuale e trasparente informazione nei temi d’interesse” .


“Un rapporto reso noto con un forte ritardo che si caratterizza per un’ingiustificata mancanza di documentazione rispetto a quella fornita dagli ultimi Governi sulle tipologie di armamenti esportati e per diverse informazioni contraddittorie e inconsistenti” – commenta Francesco Vignarca, coordinatore della Rete Italiana per il Disarmo. “Solo una parte minore delle autorizzazioni all’esportazione per l’anno 2011 è attribuibile al Governo Monti, ma la responsabilità delle mancanze e degli errori nei documenti presentati deve invece essere attribuita all’attuale Presidenza del Consiglio. Dal ‘governo tecnico’ ci aspettavamo maggior trasparenza e informazioni complete e precise in un rapporto di fondamentale importanza per le implicazioni sulla politica estera e di difesa del nostro paese” – conclude Vignarca.

Dal Rapporto – denunciano Rete disarmo e Tavola della pace – è scomparsa la Tabella 15 (si veda un esempio qui) che negli ultimi anni, documentando i valori e le tipologie dei sistemi militari autorizzati verso i singoli paesi, forniva informazioni preziose per il controllo e la trasparenza delle politiche di esportazione militare. Il Rapporto segnala che nel 2011 “si è avuto un incremento, pari a 5,28%, del valore delle autorizzazioni alle esportazioni, al netto delle autorizzazioni per i programmi intergovernativi, e si è riscontrato un significativo aumento delle autorizzazioni per i programmi intergovernativi di cooperazione rispetto all’anno precedente che di fatto ha riportato i valori ai livelli del 2009”. Ma le operazioni più consistenti riguardano principalmente le aree al di fuori delle tradizionali alleanze del nostro paese: solo il 36% delle autorizzazioni all’esportazione è verso i Paesi della Nato/Ue ed europei Osce (per un valore di 1,1 miliardi di euro), mentre oltre il 64% (per un valore di 1,959 miliardi di euro) è diretto verso paesi non inseriti in queste alleanze.

“L’esportazione di armi italiane verso zone cariche di conflitti e di tensioni è inaccettabile, alimenta le guerre, accresce l’instabilità e minaccia la nostra stessa sicurezza. Governo e Parlamento devono intervenire per fermare questa vera e propria follia invertendo la tendenza degli ultimi anni” - sottolinea Flavio Lotti, coordinatore nazionale della Tavola della pace, che aggiunge: “Com’è possibile che il Parlamento non abbia ancora trovato il tempo per esaminare le Relazioni governative sulle esportazioni militari? Parliamo di armi che - come abbiamo visto nel caso della Libia e adesso in Siria (due paesi verso cui l'Italia ha esportato sistemi militari più di ogni altro paese europeo) - vengono poi impiegate dai vari regimi per reprimere le popolazioni! A questa intollerabile “disattenzione“, conclude Lotti, si deve porre rimedio scongiurando innanzitutto che il decreto governativo in discussione proprio in questi giorni alla Camera e al Senato finisca per semplificare ulteriormente i trasferimenti internazionali di materiali militari”.”.

Da una meticolosa ricerca svolta da Giorgio Beretta di prossima pubblicazione per l’annuario dell’Osservatorio sul Commercio delle armi (Os.C.Ar.) di Ires Toscana emerge che, mentre nel triennio 2006-8 (cioè in gran parte durante il Governo Prodi II) oltre il 62% delle autorizzazioni all’esportazione di materiali militari italiani era stata diretta ai paesi alleati della Nato e dell’Unione europea, nell’ultimo triennio (cioè durante il Governo Berlusconi IV) il rapporto si è invertito e, con il 61% del totale, sono stati i paesi al fuori delle alleanze Nato/Ue i principali destinatari di armamenti italiani. Le direttrici delle nostre attuali esportazioni sembrano quindi nuovamente indirizzarsi verso aree e paesi in via di sviluppo, analogamente a quanto avveniva nel corso degli anni '70 e '80, durante i quali contribuimmo all'incremento delle tensioni e dei conflitti nel mondo, di fatto bypassando lo spirito della 185 stessa.

“Il rapporto della Presidenza del Consiglio presenta inoltre una serie di imprecisioni che è difficile attribuire a meri errori tecnici” – commenta Giorgio Beretta, analista della Rete Disarmo. “L’elenco dei Paesi principali destinatari delle autorizzazioni alle esportazioni definitive di prodotti per la difesa riporta (p. 27) nell’ordine, l’Algeria (477,5 mln di €), seguita da Singapore (395,28 mln. di €) e Turchia (170,8 mln. di €) mentre la Tabella n. 4 allegata a fine rapporto – tra l’altro incompleta – che visualizza graficamente le medesime autorizzazioni segnala al terzo posto l’India (259,41 mln di €): un paese dove – proprio durante la prigionia dei due marò italiani – il governo Monti ha autorizzato la partecipazione delle aziende di Finmeccanica al salone di prodotti militari Defexpo (New Delhi 29 marzo – 1 aprile). Sempre a p. 27 del Rapporto si legge che “i principali acquirenti dei Paesi UE/NATO sono stati: Francia, Stati Uniti d’America, Germania e Regno Unito”, escludendo la Turchia che è stata il principale acquirente di armamenti italiani tra i paesi Nato. Proprio queste contraddizioni tra i dati rendono ancor più necessaria la pubblicazione di quella tabella di dettaglio, introdotta dal Governo Prodi, per illustrare valori e le tipologie dei sistemi militari di cui era stata rilasciata l’esportazione” – conclude Beretta.

Nel Rapporto, inoltre, manca anche quest’anno la Tabella generale dei valori delle operazioni autorizzate agli Istituti di credito e non vi sono indicazioni che il Governo Monti abbia ripristinato nella più ampia Relazione al Parlamento anche la Tabella di “Riepilogo in dettaglio per Istituti di credito” che per anni ha riportato tutte le singole operazioni autorizzate alle banche: tabella che però è completamente sparita dalle Relazioni governative presentate al Parlamento dall’inizio di questa legislatura. “Sono documenti della massima importanza che hanno caratterizzato la Relazione italiana sulle esportazioni militari come una delle migliori in Europa per il livello di trasparenza” – commenta Chiara Bonaiuti, direttrice dell’Osservatorio sul Commercio delle armi (Os.C.Ar.). In un momento in cui la magistratura indaga su diverse operazioni di compravendita di materiali militari e appaiono notizie di fondi illeciti e tangenti che coinvolgono i vertici delle maggiori aziende italiane, Bonaiuti sottolinea che “trasparenza, tracciabilità e collegialità nei controlli sono strumenti essenziali per prevenire casi di triangolazioni e di corruzione”. Rete Disarmo chiede perciò che il Governo ripristini tutte le informazioni sulle transazioni bancarie che ai sensi della legge 185/1990 devono essere rese pubbliche.

Il Rapporto, infine, non documenta le esportazioni di armi comuni da sparo, di cui l’Italia è uno dei maggiori produttori e esportatori mondiali, che sono vendute per uso “civile, sportivo, per la difesa personale e per corpi di polizia e di sicurezza” cioè non specificamente dirette all’uso delle forze armate di altri paesi. “Una grave mancanza che negli anni scorsi ha favorito l’esportazione di armi italiane finite in Iraq o consegnate alla Pubblica sicurezza del colonnello Gheddafi” – sottolinea Carlo Tombola di OPAL, l’Osservatorio sulle armi leggere di Brescia. “E lo scorso anno, anche nel periodo delle rivolte della cosiddetta ‘Primavera araba’, dalla Provincia di Brescia sono state esportate “armi e munizioni” per un valore complessivo di 6,8 milioni di euro ai paesi del Nord Africa, e oltre 11 milioni di euro ai paesi del Medio Oriente. Il Governo dovrebbe inoltre spiegare chi sia il destinatario di oltre 1 milione di euro di armi esportate da qualche azienda bresciana in Bielorussia tra aprile e giugno 2011, cioè pochi giorni prima che l’Unione Europea decretasse un embargo di armi verso il paese ex-sovietico a causa delle violazioni dei diritti umani e della repressione messa in atto dal regime del presidente Lukashenko” - conclude Tombola.

Rete italiana per il disarmo e la Tavola della pace invieranno perciò oggi al Presidente del Consiglio, Mario Monti, e agli uffici governativi compenti una richiesta formale per un “incontro urgente” sulle politiche delle esportazioni militari del nostro paese. “Riteniamo necessario – concludono Vignarca e Lotti - che il Governo, se davvero intende mantenere l’impegno espresso di favorire una più puntuale e trasparente informazione su questi temi, non deleghi questo compito agli uffici tecnici, ma si assuma la responsabilità politica di un confronto con le associazioni della società civile che rappresentiamo e che fin dagli anni Novanta sono state in primissima fila nel controllare e documentare le esportazioni di armamenti italiani”.

Preso da:  http://www.dazebaonews.it/primo-piano/item/10400-italia-aumento-export-di-armi-e-diminuzione-della-trasparenza
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Le Nazioni Unite vogliono nuovi poteri al Summit Mondiale di Rio sulla sostenibilità per trasformare il mondo

4/27/2012

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- Alex Newman  -
The New American
  Le Nazioni Unite prevedono di utilizzare la prossima conferenza dell’ONU sul tema “Sviluppo sostenibile” (CSD o Rio +20) a Rio de Janeiro per accumulare una vasta gamma di nuovi poteri senza precedenti e riformare letteralmente la civiltà, l’economia globale, e anche i pensieri della gente, secondo documenti ufficiali. Tutto sarà fatto in nome della transizione verso una cosiddetta “economia verde“.Tra le nuove autorità richieste dall’agenzia mondiale ci sono le imposte globali sul carbonio, la redistribuzione della ricchezza pari a trilioni di dollari all’anno, e una serie di programmi che si occupano di tutto, dalla povertà ed educazione alla salute e allocazione delle risorse. Praticamente qualunque campo dell’attività umana sarà influenzato dal regime, che gli analisti hanno descritto come un “gigantesco esercizio di ingegneria sociale globale”.

L’agenda per la trasformazione globale è stata resa nota in un rapporto pubblicato di recente dal titolo “Lavorare per un’Economia Verde Equilibrata e Totale: Una Prospettiva delle Nazioni Unite a livello globale.” Il documento – elaborato da un gruppo di più di 35 agenzie e istituzioni internazionali di vario genere delle Nazioni Unite, sotto la bandiera del “Gruppo di Gestione Ambientale” (UNEMG) delle Nazioni Unite  – spiega gli obiettivi del prossimo summit dell’agenzia mondiale sulla “sostenibilità”. La conferenza segna il 20° anniversario del Vertice sulla Terra delle delle Nazioni Unite del 1992, che adottò la molto controversa “Agenda 21“.



“La transizione verso un’economia verde richiede un cambiamento fondamentale nel modo di pensare e di agire”, spiega il documento, chiedendo sforzi per una maggiore “educazione” e “consapevolezza” per favorire il “cambiamento dei comportamenti individuali e collettivi” negli stili di vita come nei modelli di consumo e di produzione. L’agenda richiederà “un serio ripensamento degli stili di vita nei paesi sviluppati”, rileva il documento.

Costo: un trilione di dollari all’anno, e ancora di più

La drammatica trasformazione verso una presunta “economia verde” – ancora in gran parte indefinita – non sarà a buon mercato. Infatti, secondo le Nazioni Unite, il costo sarà dell’ordine di trilioni di dollari all’anno. E i prezzi al consumo dovranno aumentare su tutta la linea, anche il cibo, l’energia e le abitazioni in cima alla lista.

“Una trasformazione globale verso un’economia verde richiederà ingenti risorse finanziarie,” ammette il documento, proponendo “tasse ecologiche” come un modo per “sbloccare” l’enorme quantità di fondi necessari per ridisegnare la civiltà umana. Un suggerimento offerto dal piano: imporre la carbon tax o un sistema cap-and-trade sulla popolazione dei paesi industrializzati per ricavare qualcosa come 250 miliardi di dollari all’anno per l’agenda delle Nazioni Unite.

Ma anche il capitale privato svolgerà un ruolo importante. Secondo le Nazioni Unite, l’ordine pubblico – normative, mandati, incentivi, e altro ancora – deve essere utilizzato per incanalare investimenti di denaro in sistemi verdi su larga scala. “Fondamentalmente con la ristrutturazione della spesa pubblica e la mobilitazione di investimenti privati ​​verso gli investimenti ambientali e sociali, i paesi industrializzati indebitati possono aspettarsi di trovare nuovi percorsi di crescita che sostengano il consolidamento fiscale, contribuendo ad un’economia verde”, dichiarano le Nazioni Unite.

L’organismo globale stima che i suoi sistemi, solo nel campo delle “infrastrutture verdi”, finiranno per costare oltre 1.000 miliardi di dollari all’anno. Naturalmente, anche  l’agricoltura e l’industria devono essere “tinte di verde”, secondo le Nazioni Unite. Il prezzo totale previsto è di oltre 2 trilioni di dollari di spesa diretta e trasferimenti di ricchezza, all’anno – senza contare la devastazione economica che deriverebbe dalla pianificazione centrale. La stragrande maggioranza sarà pagata dai contribuenti dei paesi “sviluppati”.

Tuttavia, l’ONU capisce che ci può essere un limite a quello che molti governi ricchi possono prelevare dalle loro popolazioni o ricavare dagli investitori per riversarlo in programmi “verdi”. Così, per far fronte a questo, il mondo potrebbe doversi muovere verso una moneta internazionale che permetterebbe alle autorità globali di stampare denaro per finanziare i programmi.

“Inoltre, vi è la necessità di identificare e sviluppare nuove fonti di fondi internazionali per supportare la transizione globale verso un’economia verde”, spiega il documento. “Devono essere fatti degli sforzi  per esplorare il potenziale di un uso innovativo dei Diritti Speciali di Prelievo (Special Drawing Rights-SDR), di beni di riserva internazionali, e masse patrimoniali concentrate, allo scopo di finanziare gli investimenti della green economy con interessanti ritorni sociali, come pure ritorni privati e aumentare la provvista di beni pubblici globali”.

I DSP sono una moneta proto-globale gestita dal Fondo MoInetario Internazionale (FMI) basato sul valore di un paniere delle principali valute fiat. L’establishment globale che promuove il governo e una vasta gamma di leader nazionali hanno chiesto per anni che i DSP fossero utilizzati come valuta mondiale – spostando lo status del dollaro statunitense.

Gli inviti a presentare una tale transizione monetaria sono sempre più forti, ma i critici si stanno ribellando. Dare alle istituzioni globali il potere di stampare moneta, naturalmente, fornirebbe una disponibilità potenzialmente illimitata di fondi per trasformare il mondo ed erigere le strutture globali di governance ambientale richieste dalle Nazioni Unite.

Istruzione: garantire un sostegno futuro

Per garantire che la popolazione mondiale possa sostenere l’agenda delle Nazioni Unite, il controverso rapporto osserva che “gli enti delle Nazioni Unite hanno bisogno di aumentare il sostegno all’educazione” e “la cultura deve essere parte integrante di una transizione verso la green economy.” Al futuro dell’umanità – i giovani – devono essere insegnati i presunti pericoli del riscaldamento globale antropico. E i bambini devono anche imparare che l’ONU è necessario per risolvere il presunto problema.

“L’educazione sul cambiamento climatico è una parte particolarmente importante di un’istruzione di qualità”, sostiene la relazione senza approfondire. E così, il sistema educativo delle Nazioni Unite “fornisce alle persone a tutti i livelli di istruzione, in particolare ai giovani, le abilità, competenze e conoscenze necessarie per preparare i lavori verdi e modificare il consumo insostenibile e i modelli di produzione”.

L’impegno per un’educazione allo “sviluppo sostenibile” “deve pertanto essere integrato nei programmi educativi a tutti i livelli e in tutti i contesti educativi”, spiega il rapporto. “Comunicazione e media, compresa la produzione delle informazioni sull’uso sostenibile delle risorse per la riduzione della povertà e l’accesso a tali informazioni è anche importante”.

Povertà e Welfare verde

Secondo l’ONU, povertà e “sviluppo sostenibile” sono collegati. Pertanto, l’organismo globale deve garantire che i programmi per il benessere rappresentino una parte integrante della cosiddetta economia “verde”. “Le politiche di riduzione della povertà devono essere formulate per incoraggiare consumo e modelli di produzione sostenibili e stabilire un percorso verde per lo sviluppo futuro”, osserva il rapporto.

Naturalmente, la trasformazione globale creerà un sacco di disoccupati – e l’ONU lo riconosce, citando l’industria dei combustibili fossili come un obiettivo primario da eliminare. Per affrontare la distruzione dei mezzi di sussistenza, compiuta dai regimi “verdi”, il documento chiede programmi di welfare per sostenere la vasta schiera di persone che perderebbero il lavoro.

“Misure di sostegno ai gruppi più vulnerabili come l’accesso ad un piano di protezione sociale e ammortizzatori sociali, sono essenziali per raggiungere l’inclusione sociale, per far fronte alla ristrutturazione verso un’economia più verde, e per adattarsi al cambiamento climatico”, sostiene la relazione. “La coerenza tra le politiche sociali, ambientali ed economiche è necessaria per massimizzare le opportunità e attenuare i costi sociali della transizione. Una transizione verso un’economia verde ha bisogno di proiettare una visione più verde così come un’economia e una società più equa”.

Invece dei tradizionali indicatori del progresso e del benessere umano – la crescita economica, per esempio – l’organismo mondiale si propone di implementare nuove misure come il “Sistema di Contabilità economico-ambientale delle Nazioni Unite” (UN System Environmental-Economic Accounting-SEEA). In questo modo, la perdita tremenda  di benessere materiale subìta in tutto il mondo puo essere camuffata, sostenendo che la vita è migliorata usando altre misure – la felicità, forse, o la sostenibilità.

Fonte: The New American 22 Aprile 2012
Traduzione: Anna Moffa per ilupidieinstein.blogspot.com

http://ilupidieinstein.blogspot.it/2012/04/come-le-nazioni-unite-vorrebbero.html



Tratto da: Come le Nazioni Unite vorrebbero cambiare i connotati al mondo, attraverso il prelievo dalle popolazioni di oltre 1000 miliardi di dollari all’anno, una moneta unica e un governo globale | Informare per Resistere http://www.informarexresistere.fr/2012/04/27/come-le-nazioni-unite-vorrebbero-cambiare-i-connotati-al-mondo-attraverso-il-prelievo-dalle-popolazioni-di-oltre-1000-miliardi-di-dollari-allanno-una-moneta-unica-e-un-governo-globale/#ixzz1tENZt6mU 
- Nel tempo dell'inganno universale, dire la verità è un atto rivoluzionario!  are modifiche.

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FERMIAMO L?ACQUISTO DEI JET F35

12/10/2011

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I BANCHIERI MERITANO LA GALERA

12/10/2011

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_In Islanda hanno già arrestato i banchieri ingordi. Anche la Banca centrale islandese è tra le istituzioni sotto inchiesta. Il procuratore speciale, Olafur Thor Hauksson, ha ordinato perquisizioni presso la Mp Bank, Almc Bank (ex Straumur) e altri manager potrebbero finire presto in galera. Gli islandesi esultano e sanno di aver fatto bene a votare un referendum che vieta alla Stato di accollarsi i debiti delle banche che hanno speculato e lucrato. «Che falliscano pure!», gridano. E’ l’inizio di una grande retata di banchieri nel mondo? Sarebbe salutare, se così fosse, in nome di milioni di persone che stanno patendo la fame per colpa delle banche d’affari e d’investimento che hanno innescato la crisi nel 2008 in America, contagiando il mondo intero. L’anziana Eileen oggi ha 73 anni. Dieci anni fa (2001) aveva accumulato 400 mila dollari sul suo conto di previdenza. Sognava una vecchiaia tranquilla nella sua casa in Florida. Con l’esplosione della crisi finanziaria nel 2008 quel conto si è dimezzato, poi non è più riuscita a pagare il mutuo di casa ed oggi è costretta a chiedere il cibo presso una “banca alimentare”. Piange: “E’ così umiliante per me, dopo una vita di lavoro”. Come lei, ce ne sono a migliaia in America, in Francia, in Spagna e ora anche in Italia. Improvvisamente

poveri. Di chi è la colpa?

Gli americani hanno scoperto che i principali responsabili sono i banchieri. Cioè speculatori senza scrupoli che spesso hanno come alleati le agenzie di rating. Un esempio? Il giorno prima di fallire, la banca Lehman Brothers aveva un rating alto. Tra il 2006 e 2007 migliaia di Cdo (Collateralized debt obligations) avevano la tripla A emessa dalle agenzie di rating. Invece era spazzatura. Robert Gnaidza, rappresentante del Greenlining Institute a difesa dei consumatori, rivela: «Goldman Sachs, Lehamn Brothers, Bear Sterns, Merrill Lynch: erano tutte coinvolte nella speculazione. I mutui subprime aumentarono da 30 miliardi a 600 miliardi in dieci anni. Sapevano che sarebbe successo…».

Qualcuno è andato in galera? Finora nessuno. Nel 2010 la Goldman Sachs è stata accusata di frode e costretta a pagare 550 milioni di dollari. Anche la Citygroup, protagonista della crisi finanziaria, due mesi fa è stata costretta a pagare una pesante multa, Scrive Finanza.com: «Il deal prevede il pagamento di una multa di 285 milioni di dollari per chiudere il contenzioso relativo la vendita di strumenti finanziari relativi a mutui ipotecari sui quali la banca stava contemporaneamente scommettendo contro. Per la SEC si tratta della terza multa più alta di sempre, dopo i 500 milioni pagati da Goldman Sachs per metter la parola fine ad un caso simile ed i 300 milioni comminati a State Street, accusata di aver tratto in inganno gli investitori con un fondo che investiva in mutui subprime.» Una pesante multa è stata inflitta in questi giorni anche alla banca inglese Hsbc: 11 milioni e mezzo di euro per risarcire investitori ottantenni che avevano acquistato bond e fondi d’investimento, che erano pessimi affari.

Nei giorni scorsi Bloomberg ha informato l’America che Henry Paulson, ex amministratore di Goldman Sachs, nel 2008 – in piena crisi finanziaria – nella sue veste di segretario al Tesoro incontrava i capi degli hedge fund in un grattacielo dell’alta finanza, cioè i peggiori speculatori dei tempi moderni.

Serve altro per capire che la crisi finanziaria globale ha una regia di banchieri occulti, che in molti casi meritano la galera? Il mondo respirerà aria di cambiamento se l’esempio dell’Islanda si dovesse estendere nel resto del mondo. Ci sono finanzieri ingordi che devono pagare per la povertà di molta gente. E devono pagare perché stanno trasformando le democrazie in bancocrazie.

Fonte: Il Fatto Quotidiano – di Enzo Di Frenna


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COMMERCIO DI OPPIO IN AFGHANISTAN GESTITO DAI MILITARI AMERICANI

12/5/2011

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L’Afghanistan è il più grande produttore e esportatore di oppio nel mondo di oggi, coltivando il 92 per cento del mercato dell’oppio mondiale. Ma ciò che può scuotere molti è il fatto che l’esercito statunitense ha avuto specificamente il compito di sorvegliare i campi di papavero afgani, da cui deriva l’oppio, al fine di proteggere questo settore multimiliardario che arricchisce Wall Street, la CIA, MI6, e vari altri gruppi che traggono grande profitto da questo traffico illecito di droga. Prima dei tragici eventi dell’11 settembre 2001, l’Afghanistan non era certo un giocatore in crescita nel mondo del papavero, che viene utilizzato per produrre sia eroina illegale che morfina di classe farmaceutica. In realtà, i talebani erano stati attivi nel distruggere i campi di papaveri come parte di uno sforzo per liberare il paese da questa pianta nociva, come è stato riportato dal Pittsburgh Post-Gazette il 16 febbraio 2001, in un pezzo intitolato “la produzione di oppio nazione praticamente spazzata via”. Ma dopo l’11 settembre, il complesso militare-industriale statunitense invase rapidamente l’Afghanistan e cominciò a facilitare la reintegrazione del settore del papavero nel paese. Secondo il Programma delle Nazioni Unite per il controllo della droga (UNDCP), la coltivazione di oppio è aumentato del 657 per cento nel 2002 dopo che le forze armate Usa hanno invaso il paese sotto la direzione dell’allora presidente George W. Bush (http://www.infowars.com/fox -news-ma …). Più di recente,The New York Times(NYT) ha riferito che il fratello dell’attuale presidente afghano Hamid Karzai era stato effettivamente sul libro paga della CIA per almeno otto anni prima di queste informazioni diventassero pubbliche nel 2009. Ahmed Wali Karzai è stato un giocatore fondamentale per ripristinare il traffico di droga nel paese, noto come Golden Crescent, e la CIA ne ha finanziato il tentativo dietro le quinte (http://www.infowars.com/ny-times-af …). “Il commercio della droga Golden Crescent, lanciato dalla CIA nei primi anni 1980, continua ad essere protetto dai servizi segreti americani, in collegamento con le forze di occupazione NATO e le forze armate britanniche“, ha scritto il Prof. Michel Chossudovsky in un rapporto del 2007, prima che fosse rivelato che Ahmed Wali Karzai era stato sul libro paga della CIA. “Il ricavato di questo lucroso contrabbando di miliardi di dollari sono depositati nelle banche occidentali. Quasi la totalità dei ricavi derivano per gli interessi aziendali e organizzazioni criminali fuori dell’Afghanistan” (http://www.thirdworldtraveler.com/A …). Ma i mezzi di comunicazione mainstream diffondono una storia diversa al pubblico americano. FOX News, per esempio, ha mandato in onda un pezzo di propaganda nel sostenere che il personale militare si trovano a dover proteggere i campi di papavero afgano, piuttosto che distruggerli, al fine di mantenere la gente del posto felice e per evitare un potenziale “rischio sicurezza” nel 2010. Così, mentre decine di migliaia di americani continuano a essere feriti o uccisi ogni anno da overdose da farmaci provenienti da questo commercio illegale di oppio, e mentre la coltivazione di piante innocue come la marijuana e la canapa rimane illegale negli Stati Uniti, l’America militare resta attivamente a guardia dei campi di papavero in Afghanistan che alimentano il commercio globale della droga. C’è qualcosa di terribilmente sbagliato in questo quadro. traduzione: Daniele L – AltraNews
leggi anche: http://altranews.blogspot.com/2011/04/Iran: Usa e israele assistono spacciatori di droga
Fonti per questo articolo :http://www.youtube.com/watch?v=aj-b … http://www.InfoWars.com Il Mio Canale YouTube: http://www.youtube.com/channel_editor?action_editor=1&editor_tab=branding


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L’Aquila: come rubare soldi

11/4/2011

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di Samanta Di Persio Se provassimo a tornare in una città che abbiamo visitato due anni fa, troveremmo sicuramente cambiamenti, fosse solo un senso unico al posto di un doppio senso. Tornare a L’Aquila, dopo trentuno mesi, significa vedere una città ferma alle 3.32 del 6 aprile 2009. Sì, è vero sono state riaperte alcune vie principali, alcune attività che c’erano prima, altre sono nate di recente, ma lo spettacolo che si presenta agli occhi sono puntellamenti di legno e tubi innocenti, a dimostrazione che non è stato ricostruito nulla. Entrare in alcuni negozi può essere utile per capire il concetto di precarietà delle strutture, possono essere aperti al pubblico perché è stata concessa un’agibilità parziale, nonostante le lesioni, le crepe sulle pareti, mentre i piani sovrastanti sono inagibili, con un due parole: molto danneggiati. Vi avevano perfino convinto a fare una giocata a Win for life, illudendovi che voi avreste potuto avere una rendita per vent’anni e gli aquilani la ricostruzione delle loro case, ma la realtà è sempre più complessa e difficilmente ha un lieto fine. Non è stato dato nessun incentivo per: commercianti, lavoratori autonomi, artigiani, può essere considerata una piccola vittoria l’imposizione per avere quella agibilità parziale per poter ripartire. Il coraggio e l’onestà però non vengono mai premiati, se da una parte ci sono imprese che hanno chiuso perché non hanno più vinto appalti oppure hanno ridotto i loro lavori e 7000 lavoratori in cassa integrazione o mobilità, dall’altra parte c’è chi ha speculato sui morti e sulle macerie. Ci sono numerose inchieste, oltre a quelli noti sorridenti, che vedono in ballo milioni di euro e vedono coinvolti Stato, politici, imprenditori e perfino la Curia. Se è possibile avere queste informazioni è grazie alle intercettazione, ma andiamo per ordine. Con il decreto 39 del 2009 si prevedeva un gioco, appunto Win for life, una parte dei ricavi, 500 milioni ogni anno, dovevano essere destinati alla ricostruzione post terremoto. Il Presidente del consiglio, attraverso la Mondadori, è socio di una società di giochi dal 2010, quindi chi gioca on line, di fatto aiuta la famiglia Berlusconi a pagare meno interessi alle banche, il Presidente prestigiatore sottrae 14 miliardi di euro proprio all’Abruzzo, mentre il Governo ha annunciato il taglio dei costi per la popolazione assistita da 350 milioni a 30, gli aquilani assistiti sono 14785, 20370 aquilani sono distribuiti fra progetto case e map (moduli abitativi provvisori), le foto di queste case hanno fatto il giro del mondo sono state spacciate come il miracolo della ricostruzione, adesso il comune deve far fronte alla manutenzione, e chi paga? Ovviamente i terremotati, è quasi certo che verrà chiesto il pagamento di un canone, senza distinguere fra chi prima del 6 aprile era in affitto, chi aveva una casa di proprietà ed aveva un mutuo sulle spalle, del resto è un problema di soldi. Tornando agli speculatori, i primi, non vogliono farsi scappare una commissione di un milione e mezzo di euro che devono essere assegnati ad Abruzzo Engineering. Gli arresti per corruzione riguardano: Ezio Stati, ex consigliere regionale Dc, ora nel Pdl già condannato per finanziamento illecito ai partiti, padre di Daniela ex assessore regionale alla Protezione Civile (le dimissioni sono state date dopo questa inchiesta), Vincenzo Angeloni, ex deputato, Marco Buzzelli, compagno di Daniela Stati, Sabatino Stornelli, ex amministratore delegato di Telespazio e attuale amministratore delegato di Selex service management (società di Finmeccanica) e controllore del 30 per cento delle quote di Abruzzo Engineering. Un’altra indagine, sul dopo sisma, riguarda un appalto di circa seicento milioni, sono stati indagati l’imprenditore romano Carlo Strassil e l’ex provveditore alle opere pubbliche Giovanni Guglielmi. Come se non bastasse nascono associazioni onlus ad hoc, che fanno capo ad un’unica associazione della Curia. La fondazione Abruzzo solidarietà e sviluppo è stata presieduta dal vescovo Giuseppe Molinari e dall’ausiliare Giovanni D’Ercole, ad un certo punto, qualche settimana prima degli arresti ad ottobre di quest’anno, i due se la danno a gambe, oggi dichiarano di essere estranei, sottolineo che nelle intercettazioni  si parla di lettere che partono dall’arcidiocesi ed i fatti fanno riferimento al 2010. Una fondazione onlus non può avere scopo di lucro, ma di fatto voleva accaparrarsi nove milioni di euro, su dodici, stanziati dal dipartimento Politiche per la famiglia dal sottosegretario Carlo Giovanardi, a favore delle aree terremotate, per diventare proprietaria di strutture per anziani, servizi socio-educativi per la prima infanzia. Gli accusati per tentativo di truffa, millantato credito ed estorsione sono: Fabrizio Traversi e Gianfranco Cavaliere (figlio del capogruppo Pdl in Consiglio comunale e referente provinciale dei Popolari liberali). Nell’inchiesta sono coinvolte come indagati altre tre persone: il sindaco di San Demetrio ne’ Vestini Silvano Cappelli, l’ex assessore regionale e provinciale Mahmoud Srour e il presidente di Eurispes Abruzzo Nicola Ferrigni. Ma le case, quelle da riparare? Sono tutte lì, come lasciate 31 mesi fa, i progetti si fermano quando la triade: Reluis, Cineas e Fintecna devono visionare le pratiche, alcuni progetti rigettati perché sforavano di qualche euro, un rimpallo di responsabilità fra burocrazia lenta e progettisti inadempienti che trova una possibile soluzione chiedendo una fideiussione ai progettisti. Insomma, l’intransigenza compare solo quando si tratta di una manciata di euro, morale della parabola: i fondi giacciono inutilizzati e probabilmente verranno utilizzati per altro, mentre chi paga, manco a dirlo, sono i cittadini.


Tratto da: L’Aquila: come rubare soldi | Informare per Resistere
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L’UNESCO “riconosce” la Palestina

11/1/2011

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di Italo Romano
Oltre la Coltre Dal sito Peace Reporter apprendo una notizia che ha a dir poco dell’incredibile, anche grazie al fattore sorpresa con cui è saltata fuori. Un tempismo sospetto che sembra l’inizio di quella metodologia tanto cara ai fautori del Nuovo Ordine Mondiale: problema-reazione-soluzione. Leggiamo prima la notizia: “L’Assemblea generale dell’Unesco ha approvato l’adesione a pieno titolo della Palestinanell’organizzazione. Il ‘via libera’ rischia di creare una spaccatura con gli Usa, che avevano preannunciato di sospendere i finanziamenti all’Unesco in caso di un voto favorevole. I paesi che si sono astenuti sono 52, fra cui Italia e Gran Bretagna. Fra i 107 paesi che hanno votato a favore vi sono la Francia, oltre alla quasi totalità dei paesi arabi, africani e dell’America Latina. Stati Uniti, Canada e Germania sono fra i 14 voti contrari. L’adesione della Palestina come stato membro a pieno titola comporterà gravi conseguenze finanziarie per l’organismo Onu a tutela della cultura. Una legge degli anni Novanta impone infatti agli Stati Uniti di cessare i finanziamenti ad ogni organismo dell’Onu che accetti l’ingresso della Palestina come stato a pieno titolo. Attualmente Gli Stati Uniti sono il principale finanziatore dell’Unesco e contribuiscono al suo bilancio per il 22 percento. “Riteniamo che tutto ciò sia controproducente… l’unica strada per i palestinesi passa attraverso negoziati diretti“, ha detto il sottosegretario americano all’istruzione Martha Keller giusto prima del voto all’Unesco. Non è un caso che le autorità palestinesi abbiano scelto proprio l’agenzia delle Nazioni Unite per la Scienza, l’Educazione e la Cultura, per tentare il proprio ingresso nell’Onu. Infatti in questo contesto gli Stati Uniti non hanno potuto porre il veto, mentre l’Autorità Nazionale Palestinese (Anp) potrebbe richiedere il riconoscimento di alcuni siti dei territori come patrimonio dell’umanità”.

Può essere la miccia per accendere il conflitto finale, atto all’espropriazione definitiva della Striscia di Gaza? Certo.

Gli Usa “non possono accettare” l’adesione della Palestina, questo è quanto detto dal rappresentante degli Stati Uniti nell’Unesco, intervenuto alla sessione plenaria dell’Unesco dopo il voto favorevole ai palestinesi. Il rappresentante di Israele ha descritto il via libera come “una tragedia”. Insomma qualcosa di grosso bolle in pentola.



Andiamo indietro nel tempo, alla nascita di quest’organismo internazionale. L’excursus storico si rende necessario se vogliamo capire alcune delle mosse attuali del mondialismo.

L’Unesco (United Nations Educational, Scientific and Cultural Organization) è stata fondata dalle Nazioni Unite il 16 novembre 1945 per incoraggiare la collaborazione tra le nazioni nei settori dell’istruzione, della scienza, della cultura e della comunicazione. Si tratta di un’organizzazione mondialista, un’estensione particolare dell’Onu, dipendente dai soliti circoli d’élite (Bilderberg, Trilateral Commission, Aspen Institute etc.) che mirano alla globalizzazione totale. Il primo direttore generale dell’Unesco fu Sir Julian Huxley, fratello del più celebre Aldous Huxley autore di uno dei romanzi più profetici della storia “Brave new world” e promotore della diffusione delle droghe, e dei programmi di controllo mentale come MKUltra.

Nel 1946 Huxley scrisse un documento, quanto mai sinistro intitolato “UNESCO: il suo scopo e filosofia”, in cui affermò che tale organizzazione servisse per:

“contribuire a far emergere una singola cultura mondiale, con la sua propria filosofia e retroterra di idee e con suo proprio scopo. Questo è opportuno, poiché questa è la prima volta nella storia che sono disponibili l’impalcatura e i meccanismi per l’unificazione del mondo ed anche la prima volta che l’essere umano ha avuto i mezzi (nella forma di scoperte scientifiche e sue applicazioni) per porre una base mondiale per un minimo di benessere fisico di tutta la specie umana…”

(Julian Huxley, UNESCO Its Purpose and Its Philosophy (1946). Preparatory Commission of the United Nations Educational, Scientific and Cultural Organisation, page 61.)

Nulla di quello che decidono questi signori è per caso, e nulla è fatto per perseguire il bene comune. Questo deve essere chiaro a tutti.

Entriamo nello specifico. Julian Huxley è stato un biologo evoluzionista inglese, umanista e internazionalista. Padre del transumanesimo, ovvero della robotizzazione e quindi della diminuzione del fattore umano  nell’umanità per il bene dei pochi che ci controllano. Il transumanesimo è essenzialmente eugenetica, una scienza basata sulla filosofia darwinista applicata all’umanità, ovvero i forti che si evolvono e i deboli che soccombono. L’eugenetica si basa sulla necessità di affermare che vi sia un gruppo superiore e uno inferiore nella popolazione umana. Tali teorie sono poco sbandierate. Sarebbe molto svantaggioso e socialmente inaccettabile, dire pubblicamente che vi sono alcune razze, gruppi etnici o culturali che sono inferiori al resto della popolazione, ma in segreto, è proprio questo che l’elite degli eugenisti crede. Sir Julian fu membro della Società Eugenetica Britannica, di cui fu addirittura presidente per alcuni anni e fu autore di alcuni studi sulla riduzione della popolazione e la pianificazione delle nascite.

Ovvio è che le élite dei transumanisti non hanno alcuna intenzione di far “evolvere” tutta l’umanità, il loro obiettivo è quello di promuovere solo le loro linee di sangue e lasciare il resto della popolazione, sofferente, in modo che essa non abbia altra scelta che diventare loro schiava, cavia da laboratorio e ovviamente forza lavoro. Non è proprio quello che sta avvenendo?

“Gli strati più bassi della popolazione si riproducono troppo in fretta. Quindi … non devono avere accesso facile alle strutture di soccorso o agli ospedali in quanto questi ostacoli alla selezione naturale, faciliterebbero la sopravvivenza e la riproduzione ulteriore del volgo. La disoccupazione a lungo termine dovrebbe comportare la sterilizzazione dell’individuo “.

Queste parole appartengono sempre al primo direttore dell’Unesco, Sir Julian Huxley. Mostruoso, vero?

Qual’è oggi la mission dell’Unesco? A che punto sono arrivati gli studi nel campo dell’eugenetica? Credo che la fantascienza non sia in grado di descrivere i progressi tecnologici raggiunti in gran segreto da questo cenacolo di mecenati. Noi restiamo muti a guardare, pensando di aver capito tutto, mentre a noi è riservata solo la superficie degli eventi.

Che questo grido “palestina libera” non sia una specie di canto del cigno.

http://www.oltrelacoltre.com/?p=11317


Tratto da: L’UNESCO “riconosce” la Palestina | Informare per Resistere http://informarexresistere.fr/2011/11/01/l%e2%80%99unesco-%e2%80%9criconosce%e2%80%9d-la-palestina/#ixzz1cT5qNv3F
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Terza guerra mondiale: la Grecia è fallita

10/30/2011

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28 ottobre 2011
di
ilBuonPeppe

Si affannano tutti ad abbellire la cosa, a trovare espressioni diverse e, più in generale, a mantenere il tutto sotto tono per evitare che le persone si rendano realmente conto di ciò che è successo. La verità nuda e cruda però è tanto grave quanto semplice: la Grecia è fallita.
Dopo una trattativa che, a quanto pare, è stata piuttosto dura, il debito greco, pari complessivamente a circa 350 miliardi di Euro, è stato tagliato di un centinaio di miliardi. Il che non significa, ovviamente, che la Grecia lo ha rimborsato e quindi estinto, ma che i creditori lo hanno dichiarato perso, per cui accettano un rimborso parziale dei titoli che possiedono.
E quando un soggetto non paga i propri debiti, c’è poco da fare giri di parole: é fallito.

Più in dettaglio poi c’è da capire come questo taglio si concretizza. I soggetti creditori che hanno accettato la cosa sono banche private prevalentemente europee; non riguarda invece la BCE né, a quanto sembra, i singoli cittadini. Bene! Vuol dire che il prezzo per la cattiva gestione finanziaria greca lo pagano le banche che, in molti casi, di quella cattiva gestione nel tempo si sono rese complici; le istituzioni e i singoli cittadini non vengono toccati e mantengono intatti i loro crediti. Benissimo!
No. Temo che le cose stiano diversamente. Quanto vale un credito verso un soggetto fallito? Zero. I titoli pubblici greci che la BCE, i cittadini e chiunque altro hanno ancora in tasca oggi valgono zero. Se con un tratto di penna hanno cancellato 100 miliardi, chi gli impedisce di fare altrettanto con gli altri 250? Quando si verificherà che la Grecia, nonostante tutto, non riesce a risollevarsi, perché le politiche suicide che il suo governo (sempre su ordine di BCE e soci) ha applicato hanno ridotto le persone in miseria, e anche il debito residuo risulterà troppo pesante da sostenere, cosa faranno? Un altro tratto di penna e altri miliardi scompariranno.
Ancora una volta la verità è piuttosto semplice: i titoli greci oggi valgono zero.

E le banche che hanno accettato questo taglio? Hanno ricevuto l’ordine di ricapitalizzarsi mediante ristrutturazioni e cartolarizzazioni (che oggi significano inevitabilmente svendite). Ovviamente l’idea di cercare risorse sul mercato non compare: chi vuoi che corra per mettere soldi in una banca che ha appena perso crediti per qualche miliardo e necessita di capitali freschi per recuperare? Ricapitalizzare. Se poi non ci riescono si potranno rivolgere ai rispettivi Stati per un aiuto. Ma va? Dove l’ho già sentita?
Stati che però, come ben sappiamo, sono tutti in crisi finanziaria e declineranno quindi tali richieste. L’ultima spiaggia per le banche sarà l’EFSF, e così il cerchio si chiude.
Mi pare di vederlo già. Le banche tenteranno la ricapitalizzazione (o più probabilmente faranno finta); non raggiungendo gli obiettivi imposti chiederanno aiuto agli Stati, che risponderanno picche; infine busseranno all’EFSF che, generosamente, sistemerà i loro conti. Con soldi pubblici, ovvio.
Così i soldi dei cittadini europei, che gli Stati verseranno nelle casse dell’EFSF (nel frattempo rimpinguate fino a 1000 miliardi di Euro) serviranno a coprire le perdite che le banche hanno subìto accettando il taglio dei crediti verso la Grecia.

Il saldo finale per le banche è zero, a pagare saremo noi. Qualcuno aveva dei dubbi?
La situazione greca, dovuta alla cattiva gestione dei suoi governanti e ai giochi speculativi del mondo finanziario, la pagheremo noi. Il tutto con la benedizione dell’Europa, della BCE e degli illuminati governanti europei.
Abbiamo davvero bisogno di un’Europa così? Se questo è il prezzo da pagare per utilizzare l’Euro, ne vale davvero la pena?
E se questo vi sembra grave, aspettate a vedere cosa sarà il MES…

EFSF: si scrive “fondo salva stati”, si legge “fondo salva banche”. I cittadini? Ma chi se ne frega?

preso da: http://www.pleonastico.it/modules/news/article.php?storyid=230


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