Tratto da www.tlaxcala-int.org/article.asp?reference=6629 Una teoria che è stata promossa da importanti ambienti finanziari, come il Fondo Monetario Internazionale (FMI), è quella sviluppata da due dei suoi economisti, Ken Rogoff e Carmen Reinhart, sorprendentemente definiti in un recente articolo come "nuovi guru dell' economia", i quali sostengono che le recessioni causate da crisi finanziarie devono essere risolte lentamente dopo molti anni di ripresa lenta e dolorosa. Nei loro scritti, questi autori sottolineano i termini lenta e dolorosa. La promozione di questa teoria da parte del FMI e la sua accettazione nei mezzi di comunicazione finanziari ed economici neoliberali, si spiega nel fatto che, discolpa le politiche pubbliche responsabili dello scarso recupero delle economie europee e, più in particolare, quelle dei paesi sprezzantemente definiti come PIIGS (Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia e Spagna), suini in inglese.
Il problema di questa teoria è che facilmente si è dimostrata essere sbagliata. Cioè, ci sono prove per invalidano la sua tesi. Prendiamo, per esempio, quello che è successo in Argentina. Questo paese ha avuto un'enorme crisi finanziaria, dovuta in parte al fatto che il valore della sua valuta era fissato in euro (scusate, volevo dire in dollaro USA). Questa parità l'aveva portata ad avere un debito di 95.000 milioni di dollari. Era il discepolo prediletto del Fondo Monetario Internazionale, applicando le ricette di tale istituzione e raggiungendo un livello di debito impossibile da sostenere.
Quindi, contro il volere del FMI e con grande ostilità da parte di questa istituzione, alla fine del 2001, il governo argentino ha deciso di abbandonare l'ancoraggio al dollaro e non pagare il debito al prezzo fissato dal FMI. Il sistema finanziario argentino è crollato e tutte le profezie predicevano che l'Argentina sarebbe entrata in recessione - a livelli di depressione - per molti, molti anni. Fin qui la teoria di Rogoff e Reinhart.
I dati, tuttavia, mostrano l'errore di quegli autori. E' vero che l'economia argentina diminuì nella prima metà dell'anno. Ma recuperò ben presto, e in tre anni il livello di attività economica e la crescita erano già identiche a quelle del periodo pre-recessione. Parte della soluzione fu quella di recuperare la propria moneta e una propria autonomia fiscale, garantita dalla propria Banca Centrale. Inoltre, non pagò il debito pubblico ai livelli richiesti, svalutandolo notevolmente. Tutto questo gli ha permesso di recuperare rapidamente, raggiungendo uno dei livelli di crescita economica più accentuati in America Latina, il doppio del Brasile, per esempio.
Questa crescita ha avuto un impatto attraverso politiche pubbliche redistributive, per migliorare il benessere delle masse popolari. La povertà e la povertà estrema sono state ridotte di due terzi dal 2002. La spesa pubblica sociale è triplicata nel periodo 2002-2010. E nel 2009, sviluppò un programma di trasferimenti pubblici all'infanzia, che ha riguardato 3,5 milioni di bambini, diventando il programma di riduzione della povertà infantile più ambizioso dell'America Latina. La disuguaglianza è diminuita. Nel 2001 i super-ricchi (il 5% del reddito superiore) avevano un reddito 32 volte quello dei poveri (il 5% di reddito inferiore). Nel 2010 era 17 volte.
E' vero che l'inflazione era troppo elevata, anche per gli standard dell'America Latina. Un 20-25% all'anno. Bene, ora se i salari aumentano più dell'inflazione (come sta avvenendo) e la protezione sociale, continua a ridurre le disuguaglianze, l'impatto di tale inflazione è meno dannoso di quello che sembra. Inoltre, quest'inflazione può e deve essere abbassata, ma non può essere usata per negare le grandi conquiste dell'Argentina, il che spiega l'ampio sostegno popolare al proprio governo, ampiamente rieletto alle ultime elezioni (The Argentina Success Story and its implication. Center for Economic and Policy Research. 2011)
Per valutare l'esperienza argentina dovrebbe essere confrontata con ciò che sarebbe successo se non avesse cambiato le sue politiche. Come previsto da Reinhart e Rogoff, sarebbe stata per lungo tempo (dieci o quindici anni) in una ripresa lenta e dolorosa. Invece, ha recuperato ed è cresciuta rapidamente, distribuendo in modo più uniforme la ricchezza prodotta in questi anni.
La Spagna non è l'Argentina. Ma è importante studiare la possibile rilevanza di quell'esperienza per la Spagna. Lasciare l'euro non sarebbe la mia prima proposta per uscire dalla crisi. Penso che sia meglio iniziare a trasformare l'architettura dell'Unione Europea e dell'Eurozona con la costituzione di una Banca Centrale (la Banca Centrale Europea non è una banca centrale, per paradossale che sembra: in realtà è una lobby della banca), un Dipartimento Tesoro ed altre misure, tra cui la democratizzazione delle istituzioni dell'Unione Europea volta a costruire gli Stati Uniti d'Europa. Ma temo che il dominio neoliberista della struttura del governo dell'Eurozona e dell'Unione Europea impedisce questo sviluppo, in questo caso la situazione insostenibile attuale si perpetuerà (che è ciò che vuole il capitale finanziario).
Rivolta in Ungheria contro l'Unione Europea il 14 gennaio 2012
Così, tutte le alternative devono essere considerate, compresa l'uscita della Spagna (e di Grecia, Portogallo, Irlanda e anche dell'Italia, se lo si desidera) dall'euro. La sua permanenza nell'euro, senza fare riforme mirate, significherà la Grande Depressione per milioni di cittadini di questi paesi. Inoltre, la discussione di questa possibilità - di uscire dall'euro - faciliterebbe la mano della Spagna nei negoziati con il governo Merkel e Sarkozy, dal momento che questa uscita è l'ultima cosa che vogliono tali governi, giacchè significherebbe il crollo delle loro banche. Da ciò deriva l'urgenza di avviare il dibattito sull'uscita dall'euro della Spagna, dal momento che l'assenza di questo dibattito sta impoverendo il nostro paese.
Per concessione di Vicenç Navarro
Fonte: http://www.vnavarro.org/wp-content/uploads/2012/01/salirse-del-euro-como-alternativa.pdf
Data dell'articolo originale: 13/01/2012
URL dell'articolo: http://www.tlaxcala-int.org/article.asp?reference=6629
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