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Parole e potere: la manipolazione della realtà

9/20/2011

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di Paolo CortesiArticolo tratto da Nexus n. 78

"La stampa quotidiana ed il telegrafo, che in un batter d'occhio diffondono le loro trovate su tutto il globo terrestre, fabbricano più miti in un giorno di quanti se ne potevano fabbricare una volta in un secolo."

Quando scriveva queste parole, nel 1872, Karl Marx non poteva nemmeno immaginare che ben altri mezzi, oltre al giornale e al telegrafo, avrebbero creato "miti" ancora più numerosi e ancora più suggestivi.


Marx aveva compreso che l'efficacia del medium era direttamente proporzionale alla vastità e alla rapidità della diffusione del messaggio (del "mito", scrisse lui); ma egli non poteva sapere che la comunicazione (o propaganda, in questo caso) avrebbe non solo creato la notizia, ma avrebbe pure determinato la capacità interpretativa del destinatario; insomma: la manipolazione della comunicazione agisce anche nella struttura ricettiva e quindi interpretativa del destinatario della comunicazione stessa.


Ciò che non poteva prevedere Marx era quanto accade oggi: la versione che viene diffusa dai mass media si è sostituita alla realtà. Oggi quasi nessuno dubita del fatto che non esiste una informazione neutra e oggettiva. Ma molti, anzi forse troppi, persistono a credere che la manipolazione dei fatti non abbia conseguenze profonde. Questi "scettici" pensano che sì, esiste una forma di inquinamento dell'informazione, ma essi ritengono che tale fenomeno sia, tutto sommato, marginale e comunque essi se ne credono immuni, tali cioè da non farsi ingannare, da essere sempre in grado di capire dove finisce la "verità" e dove inizia la menzogna.


Il fenomeno che questi ingenui sottovalutano così goffamente è, invece, complesso e vasto. E sottovalutare la vastità e la portata della manipolazione è il suo primo e maggiore successo; come dicono i cattolici: "La maggiore astuzia di Satana è indurre a far credere che non esiste".


Per valutare appieno la situazione attuale può essere molto utile esaminare le origini della manipolazione psicologica tramite una propaganda che ha nella psicologia la sua origine e la sua guida, come affermava all'inizio del secolo scorso Hugo Munsterberg, uno dei padri fondatori della psicologia applicata: "Una visione completa della psicologia umana è la posizione di partenza di qualsiasi scientifico avvio alla propaganda".


Subito dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, le grandi potenze Usa e Urss compresero che le masse umane non potevano essere dominate con i mezzi impiegati nei secoli precedenti. Non era più possibile far credere alla folla che l'obbedienza fosse una virtù superiore, apprezzata anzi voluta da Dio. La folla non credeva più alla natura divina del potere, né alla provvidenziale funzione delle classi sociali. In una parola: nessun governo poteva più sentirsi a sufficienza sorretto e tutelato dalla "metafisica del potere", da quell'insieme di dogmi, teorie e tradizioni - talune millenarie - che giustificavano l'autorità e conservavano la sottomissione.


I governanti compresero che era necessario raggiungere gli stessi fini con altri strumenti. Non si potevano più sfruttare la credenza o la religione (fattori non più universali, dalla fine del XVIII secolo in poi); occorreva agire sugli individui a loro insaputa, occorreva scavalcare le opinioni e le certezze delle persone per raggiungere il nucleo profondo della loro mente, per intaccare la loro volontà conscia, per scavalcare resistenze e facoltà critiche e insinuarsi nella sorgente stessa delle idee.


Da Socrate in poi, la ricerca della verità era lo scopo più nobile del pensiero; non a caso, Socrate polemizzò con forza contro i sofisti, veri professionisti della retorica che si vantavano di poter dimostrare, a richiesta, ogni caso ed il suo contrario. Non è senza significato che la prima grande espressione del pensiero filosofico occidentale sia la confutazione della manipolazione della coscienza.


Non occorre più disporre della forza, quando si sanno le forme del controllo mentale. Il 4 aprile 1951, il presidente statunitense Truman istituì lo Psychological Strategy Board (PSB), il primo organismo statale destinato a pianificare, coordinare e condurre operazioni di controllo psicologico di massa.


Uno dei componenti del PSB affermò: "La minoranza ha scoperto da un pezzo il modo per influenzare la maggioranza. I moderni strumenti della tecnica propagandistica sono talmente efficaci che gli uomini sui quali viene condotto l'attacco propagandistico sono simili ad un aviatore notturno che entri nel raggio di potenti riflettori. Come è noto, va sempre a finire che l'aviatore viene accecato e vinto".

I primi manipolatori psicologici compresero che quando si vuole agire su una quantità enorme di soggetti, bisogna "trasformare la realtà". E il modo più efficace e rapido per cambiare la realtà a nostro piacimento è cambiare le parole con cui descriviamo la realtà. Oggi è un metodo normale e così diffuso che quasi non stupisce più. Tutto iniziò oltre mezzo secolo fa, quando - agli inizi del 1951 - la rivista americana "This week magazine" pubblicò un articolo del suo direttore, William Nichols, che aveva un titolo molto significativo: "Richiesta: un nuovo nome per il capitalismo".

"La sostituzione di una sola parola" scriveva Nichols "può aiutare a mutare il corso della storia. (...) Questa parola è capitalismo che ha una sfumatura negativa perché ricorda gli antichi errori e gli antichi abusi. Indiscutibilmente, la storia del capitalismo comprende dei capitoli molto scuri di sfruttamento dei lavoratori all'interno del paese e di espansione coloniale all'esterno. La parola capitalismo ricorda appunto tutto ciò".

Nichols proponeva espressioni molto più accattivanti: nuovo capitalismo, capitalismo democratico, democrazia economica, democrazia industriale, distributismo, mutualismo, produttivismo. Nella loro apparente neutra sobrietà, tutti questi neologismi rivelano la sfumatura gradevole, anzi elogiativa, che si voleva dare alla parola che evocava lutti, miserie e ingiustizie. Fin dagli Anni Venti Thomas Lamont, direttore dell'ufficio pubblicitario del banchiere J.P. Morgan, aveva proposto di cambiare l'odiato nome "capitalismo" in "libera impresa".

Ma poteva accadere che si volesse indirizzare la massa umana ad accettare ben di peggio che il concetto del capitalismo. Ai governanti, in piena Guerra Fredda, serviva che la popolazione fosse pronta ad affrontare la guerra, una guerra che poteva essere la più atroce di ogni altra guerra nella storia del mondo.

"Come si può persuadere il popolo a prepararsi alla guerra, se non viene costantemente attizzato l'isterismo bellico?", si chiedeva con brutale franchezza Walter Lippman sul "New York Herald Tribune" del settembre 1951. E il dottor Jennis, sul "Bulletin of the Atomic Scientists" suggeriva di educare la folla all'orrore, con una tecnica che oggi rivela tutta la sua potenza: "Forse bisognerebbe sperimentare un nuovo mezzo per abituare la gente a spettacoli impressionanti per evitarne la demoralizzazione. In particolare bisognerebbe utilizzare la proiezione di films - preferibilmente a colori - che rappresentino avvenimenti catastrofici".

L'idea di Jennis è ora pienamente realizzata, con l'esposizione quotidiana e massiccia delle persone, fin dalla più tenera età, a immagini televisive che non risparmiano brutalità e nefandezze. Non ci sconvolgono più scene di sterminio, corpi - anche di bambini - straziati, lacrime: migliaia di tali immagini ci bersagliano da ogni strumento di comunicazione di massa, primo dei quali la televisione che già dimostra quali cambiamenti fondamentali ha causato nella nostra struttura percettiva e intellettiva.


Nei decenni precedenti - diciamo fino al termine degli Anni Settanta del secolo scorso - il potere nascondeva le realtà scomode; il massimo esempio della politica occulta ci è dato dall'accoppiata Nixon-Kissinger per il mondo occidentale: essi sono stati gli ultimi grandi esponenti di quel tipo di potere che agisce segretamente, che diffonde comunicati falsi, che tesse trame, stabilisce contatti inconfessabili e ordisce congiure.


Ora, la politica agisce relativamente allo scoperto perché conta sull'"effetto nebbia": una cortina fumogena di parole nasconde la realtà e la massa non ha alcuna intenzione di verificare, dato che è stata abituata pavlovianamente ad un automatismo: lo ha detto la tv, dunque è vero.


E quando il meccanismo sembra non abbastanza sicuro, esiste la via italiana alla manipolazione della realtà: cambiare le leggi. cancellare ad libitum i reati, adeguare i vincoli legali alle esigenze personali, presentare un interesse assolutamente circoscritto come fosse urgenza dell'interesse nazionale.


E tutto questo accade nel silenzio e nel torpore generale, perché la devastazione dei codici culturali ha azzerato ogni tensione morale. Forse, per la prima volta in tremila anni di storia umana, la nostra civiltà non troverà risposta alla sua crisi.



Paolo Cortesi
articolo tratto da Nexus n. 78

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