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Cochabamba - Storia vera sulla privatizzazione dell'acqua.

9/24/2011

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Caricato da nuovaitalia2008 in data 18/mar/2008 su www.youtube.it

Nel 2000 la Bechtel Corporation di San Francisco, con l'appoggio della Banca Mondiale che aveva promesso un prestito alla Bolivia, ottenne dal governo boliviano la privatizzazione di tutte le risorse idriche di Cochabamba, la terza città del paese.
E' una storia che può avvenire anche da noi...anzi...stà già avvenendo!
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Perché boicottare la Nestlè

9/24/2011

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Questo è il documento di più di 20 associazioni di volontariato che chiedono di continuare il boicottaggio della Nestlè; lo facciamo nostro condividendolo completamente.
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Il 4 luglio 1977 veniva lanciato nel mondo il boicottaggio della Nestlè. Da allora sono decine i paesi che lo hanno attuato, e migliaia e migliaia i movimenti, cittadini e associazioni in tutto il mondo che lo praticano attivamente. La Nestlè ha anche vinto il poco ambito premio “Public Eye Award 2005” come peggiore impresa a giudizio del pubblico (www.evb.ch/p5224.html), con il doppio dei voti della seconda classificata, la Monsanto. Dal 25 al 31 ottobre 2010 in tutto il mondo è stata proclamata la settimana di boicottaggio della Nestlè, che attualmente è fra le 4 multinazionali più boicottate al mondo. In questi anni il boicottaggio è riuscito più volte a bloccare comportamenti e pratiche scorrette della Nestlè. Nel 2000 la Nestlè è stata anche condannata dall’antitrust, assieme ad altre multinazionali del settore, per avere costituito un cartello al fine di vendere il latte in polvere in Italia ad un prezzo di molto superiore al prezzo di mercato determinato in altri paesi.

Scorrette pratiche di commercializzazione del latte in polvere

La stessa Nestlè, nella lettera mandata al Comune di Fano, descrive perfettamente i meccanismi che portano alla morte di più di 1 milione di bambini ogni anno: “In particolare, l’OMS ha stimato che ogni anno, se venisse  prolungato sia il periodo di allattamento esclusivo al seno per i primi mesi di vita, sia quello successivo di allattamento parziale, più di un milione di lattanti potrebbero essere salvati. Alla maggior parte dei lattanti si tende, invece, a somministrare come sostitutivi anche acqua o altri sostituti del latte materno potenzialmente dannosi, tra cui il latte intero di mucca e/o l’acqua con amido di mais. Per questi motivi, la promozione dell’allattamento esclusivo al seno per i primi sei mesi è un importante mezzo per  ridurre le percentuali di malattia e mortalità infantile nei Paesi in via di sviluppo. Così come è importante prolungare il periodo di allattamento parziale al seno”. Se questa è la situazione, è chiaro che promuovere la commercializzazione del latte in polvere nei paesi impoveriti del Sud del mondo non può che provocare conseguenze gravissime: “… Ogni giorno 4000 bambini nel Sud del Mondo potrebbero essere salvati dalla morte per malattie e denutrizione se fossero allattati al seno e non con latte in polvere …”; “Il numero di vittime causate dall’uso improprio del latte in polvere ogni mese è equivalente a quello che causò l’esplosione della bomba di Hiroshima nel 1945.” – James Grant, Direttore Esecutivo UNICEF. D’altra parte la prestigiosa rivista medica “The Lancet” ha affermato: “Anche in condizioni di estrema malnutrizione una madre continua a produrre il latte necessario al bambino. Nutrire di più la madre costa solo un decimo del latte artificiale per il bambino”. Per questi motivi la multinazionale svizzera è stata più volte condannata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità e dall’UNICEF per violazione del Codice Internazionale approvato il 21 maggio 1981 e recepito in Italia con decreto n° 500 del 6 aprile 1994. Secondo molti organismi indipendenti (IGBM Interagency Group on Breastfeeding onitorino, IBFAN International Baby Food Action Network, Bay Milk Action, RIBN Rete Italiana Boicottaggio Nestlé) in questi anni Nestlè ha violato tutti i punti del codice che prevede:

  • Etichette adeguate.
  • Nessuna promozione al pubblico.
  • Una chiara informazione.
  • Nessuna promozione nelle strutture Sanitarie.
  • Nessuna promozione al personale medico.
  • Nessun campione o rifornimento gratis.
  • Nessuna promozione di cibi complementari prima che ce ne sia il bisogno.
Nestlé risulta essere la responsabile del 25% delle migliaia di violazioni registrate (circa due volte di più di qualsiasi altra società).

Violazioni dei diritti dei lavoratori e dei sindacati

Nel 2001 la Nestlè ha aderito al protocollo che prevede la fine di condizioni di schiavitù dei lavoratori nelle sue piantagioni entro 5 anni, ma è stato poi portato in tribunale per non aver rispettato tale impegno.

Il programma di giornalismo investigativo Panorama, della BBC, ha mandato in onda il 24 marzo 2010 una puntata dedicata allo sfruttamento del lavoro minorile in Ghana e Costa d’Avorio: sono emerse gravi responsabilità di diverse imprese produttrici di alimenti al cioccolato, tra le quali spiccava la Nestlè, che sfruttano il lavoro dei bambini nelle piantagioni di cacao. Numerose in tutto il mondo, ribadite anche in questi giorni,  le denunce di violazioni dei diritti dei lavoratori e dei sindacalisti perpetrate dalla Nestlè, accusata spesso di minacciare di morte gli uni e gli altri.

Nestlè e Organismi Geneticamente Modificati

Il presidente della Nestlè, Peter Brabeck ha dichiarato: “Gli Ogm sono di gran lunga più sicuri del bio. Non si può nutrire il pianeta senza organismi geneticamente modificati”. Test eseguiti in varie parti del mondo hanno rivelato la presenza di OGM nei prodotti Nestlé in Thailandia, Filippine, e Cina. Nonostante l’opposizione della popolazione locale, la multinazionale si rifiuta di abbandonare gli OGM e di segnalare in etichetta la loro presenza.

La Nestlè e la privatizzazione dell’acqua

“L’acqua è sempre più rara. È per questo che ci piacerebbe mettere le mani sulle sorgenti”.

Helmut Maucher, ex PDG e membro del CDA di Nestlè



“Una legge che consente di privatizzare l’acqua è una legge immorale”.

Riccardo Severi, assessore del Comune di Fano

Nestlè, numero 1 mondiale nel mercato dell’acqua in bottiglia, oltre il 16% del mercato mondiale: Perrier, Vittel, Contrex, San Pellegrino, Nestlè Pure Life e Nestlè Aquarel i suoi “marchi d’acqua” più conosciuti.

La sua strategia è semplice: Nestlè compra sorgenti private oppure ottiene concessioni per pompare milioni di litri d’acqua, a questo punto sul mercato occidentale Nestlè conduce una campagna pubblicitaria aggressiva in modo che i consumatori associno l’acqua in bottiglia ad un prodotto superiore all’acqua del rubinetto; nel sud del Mondo promuove campagne che propongono l’acqua in bottiglia come “soluzione” al problema della sete di milioni di persone. Peccato che pochi di loro potranno permettersela.

Nestlè, pagando diritti di licenza spesso irrisori e vendendo l’acqua centinaia di volte più cara dell’acqua di rubinetto,  trae enormi profitti, “dimenticando” che l’acqua è un bene comune e un diritto umano e non una merce.

Per approfondire:

www.ribn.it

www.babymilkaction.org

Guida al consumo critico, EMI 2008, 5a edizione.

“L’atteggiamento più pericoloso, da allontanare come una tentazione, è il pessimismo. Non dire che contro i colossi della terra non ce la faremo mai e che quella mondiale è una dimensione troppo vasta per essere gestita dal basso. Sui sensi di impotenza i padroni ed i governanti costruiscono imperi” (Francuccio Gesualdi, responsabile del Centro Nuovo Modello di Sviluppo).

“Tutte le volte che acquistiamo un Bacio Perugina, premiamo Nestlé che ostacola sistematicamente la naturale possibilità organica di ogni madre di allattare il proprio figlio al seno, per costringerla a dipendere dal latte in polvere di cui è produttrice. Molti figli, troppi figli si sono ammalati di malattie infettive e sono morti dopo che le loro madri si erano indebitate per acquistare il latte in polvere dalla Nestlé” (Alex Zanotelli).

Aderiscono: Altramarea, Alternativa Libertaria, Apito, Banca del gratuito, Bottega del Mondo Fano, Circolo Lucio Polverari, Coop. Gerico, Coop. I Talenti, Coop. Mondo Solidale, Donne in Nero, Emergency Fano Pesaro Urbino, Emporio AE, G.A.S. Fano, L’Africa Chiama, L’Alveare, Lupus in Fabula, M.I.R. Movimento Internazionale della Riconciliazione, Mondo a quadretti, M.R.S., REES Marche, Rete Sociale, Rimarchevole, Sala della Pace.

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L’illustrazione è cortesemente donata da Mauro Chiappa.

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Emergenza acqua

9/24/2011

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L'acqua sulla Terra è il 40 per cento in meno di trent'anni fa, e nel 2020 tre miliardi di persone resteranno senza. Ma gli Stati più forti stanno già sfruttando la situazione per trasformare questa risorsa in bene commerciabile.


Il pianeta è rimasto a secco e, guarda caso, ce ne siamo accorti troppo tardi. Sotto la spinta della crescita demografica e per effetto dell'inquinamento, le risorse idriche pro capite negli ultimi trent'anni si sono ridotte del 40 per cento. Gli scienziati avvertono che, intorno al 2020, quando ad abitare la Terra saremo circa 8 miliardi, il numero delle persone senza accesso all'acqua potabile sarà di 3 miliardi circa. Le soluzioni prospettate finora per far fronte al problema hanno cercato di aumentare l'offerta, piuttosto che di contenere la domanda, rivelandosi però inefficaci: le grandi dighe sono al centro di dibattiti per gli alti costi umani e ambientali e per la razionalità ecologica, mentre la desalinizzazione, oltre ad avere costi economici proibitivi, presenta forti controindicazioni dal punto di vista ambientale ed energetico. Questi e altri stratagemmi mostrano tutti i loro limiti rispetto al complesso ecosistema del ciclo dell'acqua.
Di fronte al fallimento della tecnica, aumentano le previsioni catastrofiche sulla battaglia planetaria che si scatenerà per l'accesso all'"oro blu" del XXI secolo. "Il whisky è per bere, l'acqua per combattersi", sosteneva Mark Twain, e le tesi di osservatori internazionali, personalità politiche ed esperti di strategia sembrano confermare quella riflessione. Di fronte ai dati allarmanti sullo stato delle risorse idriche del pianeta, la maggior parte degli esperti hanno dichiarato che "le guerre del ventunesimo secolo scoppieranno a causa delle dispute sull'accesso all'acqua".
Quello delle "guerre per l'acqua" è un tema che si presta a catturare l'attenzione e le preoccupazioni dell'opinione pubblica, vista la centralità - e addirittura la sacralità - che l'acqua riveste in molte società e culture. Eppure il discorso, presentato esclusivamente nei termini della crescente scarsità - e conseguente rischio di conflitti armati - può risultare semplicistico: si tende a presentare la situazione come immodificabile, quasi apocalittica, senza interrogarsi sulle cause reali che hanno portato il pianeta sull'orlo del collasso idrico e che impediscono a un terzo dell'umanità di avere l'accesso diretto alle acque potabili.
Fiumi inquinati, acqua imbevibile

Viene da chiedersi come mai la Cina, sul cui territorio si concentrano più del 40 per cento delle risorse idriche mondiali, si trova ad affrontare una grave penuria d'acqua potabile e irrigua: mettendo al primo posto la crescita industriale, il governo di Pechino non si è infatti preoccupato di tutelare le risorse ambientali, con il risultato che attualmente un terzo dei corsi d'acqua è inquinato, mentre nelle città il 50 per cento dell'acqua non è potabile. E le vendite dell'acqua in bottiglia delle multinazionali come Danone e Nestlé esplodono grazie alla preoccupazione dei consumatori per la scarsa qualità dell'acqua del rubinetto.
Altro dubbio legittimo: a cosa si deve la differenza tra coloni israeliani e popolazione araba che, pur vivendo negli stessi territori, usufruiscono di differenti possibilità d'accesso e di utilizzazione delle risorse idriche? Il consumo medio palestinese, in Cisgiordania e a Gaza, è di circa 150 mc pro capite all'anno, mentre quello dei coloni israeliani dei territori occupati si aggira intorno ai 700-800 mc. L'accesso alle risorse idriche diventa così fonte di disuguaglianza e tensione, alimentando i problemi legati alla sicurezza: non è un caso se in Israele l'acqua dipende dal Ministero dell'Agricoltura, in Palestina dal Ministero Israeliano della Difesa. Il semplice riferimento alle dotazioni naturali non spiega neanche come mai due paesi come Spagna e Giordania, a parità di risorse idriche pro capite, percepiscono in modo assai diverso la loro situazione: chi si sognerebbe di pronosticare un'entrata in guerra della Spagna contro i suoi vicini per garantirsi l'approvvigionamento idrico? E' chiaro che, in molti casi in cui l'acqua sembrerebbe disponibile (come in Brasile, Cina, India, Turchia…), larghe fasce della popolazione non riescono a far valere il proprio titolo valido, per dirla alla Amartya Sen. La capacità di disporre di beni e servizi, e tra questi l'acqua (bene primario in termini igienico-sanitari e di sopravvivenza alimentare) dipende cioè dalle caratteristiche giuridiche, politiche, economiche e sociali di una certa società, e dalla posizione che l'individuo occupa in essa, piuttosto che dalla semplice disponibilità del bene o del servizio in questione.


Tariffe salate

I conflitti per l'accesso all'acqua iniziano all'interno dello Stato, coinvolgendo e opponendo i grossi coltivatori - fautori dell'agricoltura intensiva - ai piccoli proprietari terrieri, gli industriali agli operatori turistici, ma soprattutto tagliando fuori le comunità rurali e indigene il cui "approccio" all'acqua è, per così dire, di tipo imprenditoriale, e, inevitabilmente, gli abitanti delle periferie delle megalopoli, in cui le infrastrutture igienico-sanitarie sono poche o nulle. Questo tipo di conflitti non dipende tanto da fattori naturali come il clima o la dotazione di risorse idriche, quanto dalle scelte politiche, economiche e sociali di chi gestisce la res publica. In Bolivia, dove l'acqua non manca, all'inizio di aprile si è proclamato lo stato d'assedio per frenare le azioni di protesta diffuse in tutto il paese contro l'aumento delle tariffe dell'acqua del 20 per cento, previsto dal progetto governativo della Legge delle Acque che ne affida la gestione a un consorzio di multinazionali europee e americane.
Attualmente, nel mondo ci sono circa cinquanta conflitti tra Stati per cause legate all'accesso, all'utilizzo e alla proprietà di risorse idriche. Anche in questo caso, la maggior parte delle analisi citano come causa primaria un divario sempre più ampio tra la domanda e l'offerta, e, senza dubbio, si tratta di fattori cruciali: la zona in cui lo "stress idrico" minaccia da un momento all'altro di trasformarsi in conflitto armato è quella del Medio Oriente, dove il clima e le riserve idriche sono tra i più disgraziati del pianeta. Ma le spiegazioni basate sulla penuria d'acqua sono solo una mezza verità: che dire ad esempio della Turchia, vero e proprio chateau d'eau del Medio Oriente, con risorse idriche pro capite superiori a quelle italiane, e che però combatte da anni con Siria e Iraq per il controllo di Tigri ed Eufrate? Quello turco - ma anche quello dell'Egitto nei confronti di Etiopia e Sudan, e di Israele verso i suoi vicini arabi, tanto per citarne qualcuno - è un classico esempio di "idropolitica", ovvero di politica fatta con l'acqua: strumento strategico per assicurarsi il potere e la supremazia economica in una determinata regione.


Acqua come il petrolio

Nelle zone più aride la questione idrica è sempre servita ad alimentare la propaganda di regimi nazionalisti - si pensi alla retorica che circonda la costruzione di una grande diga, e ai nomi che le vengono dati: Saddam, Ataturk, Nasser. Così l'acqua si è trasformata, di volta in volta, in obiettivo strategico da colpire per indebolire l'avversario, in uno strumento di ricatto che serviva a garantire la supremazia regionale. Con l'attuazione del progetto Gap, che prevede la realizzazione di 22 dighe e 19 centrali idroelettriche, la Turchia ha due obiettivi: ribadire la sua supremazia rispetto a Siria e Iraq - anche quelli alle prese con progetti idraulici altrettanto imponenti - e controllare militarmente (con la scusa di proteggere i cantieri dagli attentati) i territori dell'Anatolia sudorientale, che da sempre sono roccaforte dei curdi.
Il caso turco, così come quello israeliano, dimostra come le "guerre per l'acqua" possano essere la conseguenza più che la causa delle tensioni internazionali, e rivela la pericolosità delle logiche dell'idropolitica. Una politica di potenza basata sul ricatto idrico, e sulle difficoltà di approvvigionamento degli avversari, non è certo la strada migliore per risolvere la penuria d'acqua: al contrario, tende a "mantenere" la scarsità per poter far valere i propri meccanismi. E' chiaro che, in questo contesto, la proposta di considerare l'acqua come bene economico raro, assegnandole un prezzo di mercato che ne rifletta la scarsità, non favorisce la pace e la cooperazione, come sostengono i suoi fautori, ma porta dritti alla petrolizzazione dell'acqua. La soluzione ai problemi legati alla scarsità idrica in molti casi non si trova nell'acqua, o in costose e discutibili soluzioni tecniche, ma passa per la volontà politica dei dirigenti. Che vuol dire avviare una seria cooperazione a livello regionale e internazionale


Tratto da http://www.oneworld.org

Quanto costerà l'acqua?

La Banca mondiale sostiene la privatizzazione dei diritti all'acqua nel terzo mondo

Alcuni anni fa, Ismail Serageldin, il vice presidente della Banca mondiale, disse che le guerre nel ventunesimo secolo saranno guerre per l'acqua. Si riferì al fatto che le fonti di acqua fresca nel mondo sono destinate a scarseggiare in modo allarmante e che di conseguenza saranno inevitabili dei conflitti.
In risposta alla crisi, la Banca mondiale ha deciso di sostenere la privatizzazione delle acque e la tariffazione a costo pieno. Questa decisione sta causando sconcerto in parecchi dei paesi del terzo mondo dove forse in futuro la gente non si potrà più permettere l'utilizzo dell'acqua dopo che venga privatizzata.
In Bolivia, dove un rappresentante della Banca mondiale partecipa a pieno titolo nelle riunioni del Consiglio dei Ministri, la Banca si è rifiutata di prestare garanzia per un prestito di 25 milioni di dollari per il rifinanziamento dei servizi idrici a Cochabamba, la terza città del paese, se non a condizione che il governo vendesse il sistema pubblico delle acque al settore privato e permettesse che tutti i costi gravassero d'ora in avanti sui consumatori. Nelle trattative di vendita una sola offerta veniva considerata, e il sistema idrico passò nelle mani di un sussidiario della Bechtel Corporation, già tristemente famosa per un progetto idroelettrico in Cina detto "delle tre gole", che ha provocato lo sradicamento di 1.300.000 persone nella zona.
Nel Gennaio 1999, prima di aprire un suo ufficio, Bechtel già annunciò il raddoppiamento dei prezzi dell'acqua. Per molti boliviani, questo significava che ormai l'acqua era più costosa dello stesso cibo. Molta gente che sopravvive con un salario minimo o che non ha lavoro, vedeva la bolletta dell'acqua consumare quasi la metà del loro magro budget mensile.
Aggiungendo la beffa al danno, la Banca mondiale impose un regime di monopolio per i concessionari privati dell'acqua, annunciò il suo sostegno per la tariffazione a pieno costo, legò il prezzo dell'acqua al dollaro e dichiarò che nessuno dei suoi crediti poteva essere utilizzato per dare sussidi ai poveri per i servizi idrici. Tutte le acque, incluse quelle da fonti comunali, erano soggette a permessi di utilizzo ed i contadini dovevano perfino comprare dei permessi per le eventuali cisterne sui loro terreni che immagazzinavano l'acqua piovana!
Storie di questo genere si vedono già in molte parti del mondo. Nel momento in cui l'umanità comincia a rendersi conto delle terribili implicazioni della crisi dell'acqua potabile, alcune multinazionali dell'alimentazione e dell'acqua, con il sostegno della Banca mondiale, stanno commercializzando le risorse idriche dei paesi del terzo mondo. Nel forum internazionale sull'acqua all'Aia nel marzo di quest'anno, organizzato dalle Nazioni Unite e dalla Banca mondiale, la voce dominante era chiaramente quella delle multinazionali.
La privatizzazione delle risorse idriche comunali può essere una cosa terribile e i suoi effetti sono ben documentati. Le tariffe vengono raddoppiate o triplicate, i profitti dei gestori aumentano anche del 700 per cento, la corruzione è evidente, la qualità dell'acqua diminuisce, a volte in modo drammatico, si incoraggia l'utilizzo sconsiderato dell'acqua per aumentare il profitto e si chiude il rubinetto agli utenti che non possono pagare. Quando la privatizzazione arriva al terzo mondo, quelli che non possono pagare moriranno.
Non vi disperate però. Almeno in Bolivia, la storia ha avuto, per ora, un lieto fine. Centinaia di migliaia di Boliviani si sono messi in moto marciando su Cochabamba per protestare contro le decisioni del governo. Il 10 aprile l'hanno vinta. Il governo ha espulso la Bechtel Corporation ed ha revocato la legislazione sulla privatizzazione delle acque.
Oscar Olivera, il calzolaio boliviano che ha innescato la battaglia ha portato il suo messaggio in Nordamerica parlando ad una manifestazione a Washington in occasione di recenti riunioni della Banca mondiale e del Fondo Monetario Internazionale. Egli diceva che dove l'acqua viene privatizzata e commercializzata per profitto, non raggiunge più la gente che ne ha bisogno ma al contrario, servirà solamente per arricchire una manciata di multinazionali dell'acqua.

Questo articolo è stato scritto da Maude Barlow per il Toronto Globe and Mail, Canada, l'11 maggio 2000.

Abbiamo trovato il testo (in inglese) nella rivista NEXUS (La Leva di Archimede)
www.theglobeandmail.com
www.nexus.com
www.nexusitalia.com
www.disinformazione.it

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