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Nuove tasse: il mercato immobiliare vacilla solo a parlarne. Valutazioni sulla situazione

11/16/2011

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_Nota introduttiva a cura di nocensura.com

L'eventuale introduzione di una nuova tassa sulla casa, cioè la reintroduzione dell'ICI (che questa volta però sarebbe destinato ad entrare nelle casse dello Stato, e non in quelle dei comuni, come la precedente "versione" chiamata appunto"Imposta Comunale sugli Immobili)  fa vacillare il mercato immobiliare: il costo delle case è sceso solo a parlarne: altra misura che risulta sgradita al mercato immobiliare ed è al vaglio di Mr Bilderberg Monti è la "patrimoniale". In caso di approvazione di queste misure, secondo Confedilizia e Fiaip ( Fiaip è un'associazione di agenti immobiliari) l'Italia rischia un crollo del 10-12% dei prezzi: questo ovviamente è dovuto al fatto che le nuove tasse causerebbero una riduzione della "domanda" di acquisto e un aumento delle case in vendita: per molti italiani diventerebbe ancora più proibitivo mantenere la "seconda casa". La posizione e le "ragioni" delle sopracitate associazioni di categoria del "settore casa" sono illustrate nell'articolo che riportiamo di seguito a questa nota introduttiva, pubblicato da "Casa e clima", un sito che, come si evince dal nome, tratta argomenti legati alle case e al mercato immobiliare. 

Cosa pensare delle nuove tasse e di questi "effetti collaterali" che avrebbero sul mercato? La situazione è delicata, e assumere una posizione "a getto" senza ben ponderare le cose, sarebbe da irresponsabili. Siamo fermamente contrari alla "nuova ICI", se questa riguarderà anche le prime case: se invece fosse applicata una tassa aggiuntiva alle "seconde, terze, quarte..." case, sarebbe diverso. La cosidetta "patrimoniale" invece, deve colpire... i patrimoni! E la prima casa, (a meno che non sia la reggia di Caserta) è un diritto, o almeno dovrebbe esserlo, e non un lusso. E la cosa importante, è che a pagare siano tutti.  SIAMO ABITUATI A PENSARE COSI'... NON è VERO??? Questo è quello che emerge dal sondaggio IPSOS  di Ballarò di ieri. GUARDATELO: lo potete vedere sul sito di Ballarò (clicca qui) ascoltate bene i discorsi del relatore... "gli italiani accettano di pagare di buon grado"... CI FANNO CREDERE CHE NON C'E' ALTERNATIVA... in realtà i soldi potrebbero essere reperiti senza grandi sacrifici, mentre invece non è cosi:  potremmo per esempio, togliere profitti alle banche, restituendo la sovranità nazionale al popolo; ma non solo: tassando i grandi profitti finanziari che oggi sono tassati 1/3 di quanto sono tassate le busta paga. Inoltre razionalizzando la spesa pubblica, i veri sprechi, i veri privilegi, le vere caste, come i notai. Regolamentando la prostituzione (80-100.000 le prostitute che lavorano senza pagare tasse in Italia) e magari legalizzando la cannabis: consumata da 4,5-5 milioni di consumatori che si approvvigionano dalla mafia: fa meno male di alcool e tabacco, e in ogni caso si trova ovunque.  OPPURE è MEGLIO ALLUNGARE L'ETA PENSIONABILE? Lavorare 2 anni in più per vietare in modo ridicolo la prostituzione - che dilaga per le strade e riempe anche i quotidiani importanti di annunci? Il mercato della prostituzione vale quanto una manovra finanziaria pesante!
tornando alle misure che saranno assunte, che colpiranno il mercato immobiliare:VANTAGGI e SVANTAGGI:
  • Comprare una casa costerà meno: ma costerà di più mantenerla. 
  • Meno ricchezza in Italia: se il valore delle case diminuisce, il capitale di una famiglia che possiede una casa diminuisce: questo può incidere quando la casa costituisce una garanzia sui prestiti (che alcune volte sono contratti per ripianare debiti)
  • Possibili ripercussioni in termini occupazionali degli addetti del settore edile, e in tono minore degli agenti immobiliari.
Di seguito, l'articolo che illustra la posizione di Fiaip (l'associazione di categoria degli agenti immobiliari) e Confedilizia (associazione delle aziende del settore edile)

Il mercato immobiliare vacilla anche solo a parlare di nuove tasse: se entrerà in vigore la nuova tassa sulla casa e la "tassa patrimoniale", le associazioni di categoria prevedono una diminuzione del valore degli immobili del 10-12%
Cancellata dal Governo Berlusconi, l'Ici sulla prima casa torna al centro del dibattito con il nuovo Governo Monti che sta per essere varato.Secondo alcune stime, la reintroduzione dell'Ici sulla prima abitazione comporterebbe per le casse dello Stato entrate per 3,5 miliardi di euro, pari al 41% dell'attuale gettito Ici (9,1 miliardi di euro). Se per le casse dei Comuni i benefici sarebbero indiscutibili (12,8 miliardi di euro in totale), per le famiglie il ritorno dell'imposta avrebbe un peso differenziato da città a città: a Bologna, per esempio, costerebbe 416,85 euro a famiglia, a Roma 407,95 euro, a Firenze 385,05 euro, a Milano 393 euro.Favorevoli e contrariFavorevole alla reintroduzione dell'Ici (e non è una sorpresa) l'Associazione nazionale dei comuni italiani (Anci). “La reintroduzione dell'Ici è sempre stata tra le richieste dell'Anci”, spiega il presidente dell'Associazione Graziano Delrio, già sindaco di Reggio Emilia. “L'imposizione sugli immobili collegati al reperimento di risorse per i servizi al territorio ha un senso, tanto che esiste in tutta Europa, ma ovviamente va discusso il modo con cui tutelare le fasce più basse”, precisa il presidente dell'Anci.Per il sindaco di Roma, Gianni Alemanno, l'Ici sulla prima casa “non sarebbe una bella misura perché cancellerebbe una riforma fatta dal centrodestra”, ha dichiarato. “Sicuramente – ha aggiunto Alemanno – una qualche forma di patrimoniale deve servire per creare un sistema fiscale più equo: meno tasse su redditi e imprese, qualcosa di più sui patrimoni”.“La prima cosa che chiederemo è equità sociale, si parla già di rimettere l'Ici su prima casa. Si inizia maluccio” ha commentato il segretario della Cgil, Susanna Camusso. “Non si possono far pagare sempre i soliti noti, e forse è ora di pagare la patrimoniale come tassa strutturale che garantisce una stagione di entrate rigorose sul piano fiscale. Poi ragionare più seriamente su rendite finanziarie, visto che il precedente governo non ha fatto nulla, e dopo sugli immobili e seconde case”.Confedilizia e Fiaip: con la patrimoniale si rischia una crisi subprimeNetta contrarietà all'ipotesi di introduzione di una patrimoniale è stata espressa da Confedilizia e Fiaip (Federazione italiana agenti immobiliari professionali). “Le continue richieste di introduzione di un’imposta patrimoniale (anche dopo la sua bocciatura da parte dell’Europa) hanno già avuto effetti fortemente negativi sul mercato immobiliare, determinando una sensibile riduzione del valore degli immobili. Se poi la patrimoniale venisse effettivamente varata, le conseguenze depressive sarebbero ben più gravi e farebbero sprofondare il settore in una crisi senza precedenti, fino al rischio di cadere nella spirale subprime”, avvertono le due Associazioni, che attraverso le proprie strutture territoriali effettuano un continuo monitoraggio della situazione del mercato immobiliare.La perdita media rilevata in Italia in questi mesi di ripetute voci relative all’introduzione della patrimoniale può essere stimata, su scala nazionale, fra il 3 e il 5%. In particolare, i maggiori ribassi nel mercato residenziale si sono registrati in varie aree metropolitane ed in particolare al Sud e nel Centro Italia (Palermo – 8%, Napoli – 6%, Roma – 7%). Gli agenti immobiliari Fiaip rilevano nel corso degli ultimi mesi un’immediata contrazione del numero delle compravendite, pari al 3% circa su scala nazionale, con un ribasso medio dei prezzi in Italia di circa il 4%. Anche gli immobili ad uso ufficio mostrano un segno negativo medio dei prezzi (– 5%), così come i negozi (– 6,5%) e i capannoni (– 8%).In particolare, nel terzo trimestre del 2011 - allorché si è intensificato il dibattito sulla patrimoniale - si sono moltiplicati i segnali di debolezza del mercato immobiliare, con diffuse indicazioni di flessioni dei prezzi e di aumento degli incarichi a vendere inevasi. Per la prima volta in Italia si può parlare di “panic selling” per i proprietari immobiliari, a causa dell’incertezza relativa alla tassazione del settore.Se alle voci e alle richieste facesse seguito l’effettiva introduzione di un’imposta patrimoniale, Fiaip e Confedilizia prevedono un calo medio dei prezzi che potrà attestarsi fra il 10 e il 12%. Calo che - a giudizio delle due Organizzazioni - sarebbe destinato a protrarsi per un lungo periodo, considerato che la sola messa a punto dei criteri per il calcolo del sistema impositivo patrimoniale richiederebbe mesi (la legge istitutiva dell’ultima patrimoniale italiana, quella del ‘47, si componeva di 77 articoli) e che i pagamenti dell’imposta non potrebbero avvenire - dati i tempi occorrenti per l’applicazione ai singoli cespiti, immobiliari ma anche mobiliari, dei criteri stabiliti, quali che essi siano - prima di un ragguardevole lasso di tempo (come accadde anche nel ’47) quantificabile in almeno più di un anno a far tempo dall’istituzione dell’imposta stessa.“Certe forze politiche e sociali continuano a pretendere l'istituzione di una patrimoniale. Ma l'Europa non ce l'ha chiesta, e non ce la chiede, in alcuna forma”, ribadisce il presidente della Confedilizia, Corrado Sforza Fogliani.

intro: staff nocensura.com
articolo: casaeclima.com
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GOLDMAN SACHS, IL COLLEGAMENTO TRA MARIO DRAGHI, MARIO MONTI E LUCAS PAPADEMOS

11/16/2011

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_Che cosa hanno in comune Mario Draghi, Mario Monti e Lucas Papademos? Il nuovo presidente della Banca Centrale Europea, il presidente designato del Consiglio italiano e il nuovo Primo Ministro greco appartengono a livelli diversi del “governo Sachs” europeo. La banca di affari americana ha tessuto in Europa una rete di influenza che si è sedimentata da molto tempo grazie a una stretta tessitura, sconosciuta al grande pubblico.Per avere una collaborazione completa, ci vuole una gerarchia. Il primo della lista è sicuramente Mario Draghi, vicepresidente di Goldman Sachs per l’Europa tra il 2002 e il 2005. diventato associato, venne incaricato delle “imprese e dei paesi sovrani.” A questo titolo, una delle sue missioni fu quella di vendere i prodotti finanziari “swap“, consentendo di dissimulare parte del debito sovrano che permise di truccare i conti greci. Poi viene Mario Monti, consigliere internazionale dal 2005. In terza posizione troviamo Lucas Papademos, che è appena stato nominato Primo Ministro della Grecia e fu governatore della Banca Centrale ellenica tra il 1994 e il 2002, dove partecipò all’operazione di falsificazione dei conti perpetrata da GS. Il gestore del debito greco è un certo Petros Christodoulos, un ex trader della compagnia.

Due altri pesi massimi hanno le carte in regola per la defenestrazione dell’euro, Otmar Issing, ex presidente di Bundesbank, e Jim O’Neill, l’inventore del concetto dei BRICS, l’acronimo che designa i mercati emergenti a forte potenziale di crescita (Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa). Ex presidente di Goldman Sachs International di cui è rimasto uno degli amministratori, l’irlandese Peter Sutherland ha giocato un ruolo chiave nel salvataggio dell’Irlanda. Infine, Paul Deighton che ha trascorso ventidue anni da Goldman Sachs, è direttore generale del comitato organizzatore delle Olimpiadi di Londra nel 2012. È il fanalino di coda, perché tutti sanno che lo sport, come l’amicizia, è fuori concorso.

Ma, al di là delle apparenze, la rete di influenza che aveva ben costruito il suo potere ha perso efficacia durante la tormenta politica finanziaria del 2008. Infatti, le vecchie complicità, scambiate dagli esperti banchieri centrali che tenevano le fila, si sono rivelate meno utili quando i politici sono diventati coscienti dell’impopolarità goduta dai professionisti della finanza, ritenuti responsabili della crisi. Mentre prima Goldman Sachs poteva facilmente esercitare il proprio tornaconto, una serie di accadimenti – la Grecia, la speculazione contro l’euro, lo scandalo Abacus nel quale è stato coinvolto il goldmaniano francese Fabrizio Tourre – gli hanno messo contro l’opinione pubblica.

La rubrica telefonica è utile, ma non è più sufficiente in un pianeta finanziario complesso e tecnico, di fronte a una nuova generazione di industriali meno plasmati dal rispetto per l’establishment. I padroni europei partiti alla conquista dal mondo si sono emancipati dai crociati dell’alta finanza stile Goldman Sachs. Le richieste di valorizzazione delle azioni, le esigenze di trasparenza dei conti e l’obbligo dell’espansione all’estero hanno smussato l’”effetto rete”. Infine, diventati più esigenti sulla qualità e l’indipendenza del mestiere di consulente, i clienti europei, ma non solo, pretendono ora il rispetto di un minimo di etica.

È qui arrivano i problemi per Goldman Sachs. Perché la banca ama posizionare i propri uomini senza mai lasciar cadere la propria maschera. Questo perché i suoi incaricati, sempre ligi, nascondono questa affiliazione quando concedono un’intervista o sono in missione ufficiale (come fu il caso di Monti, che nel 2010 si vide incaricare di uno studio sul mercato unico europeo dal presidente della Commissione, José Manuel Barroso).

Mario Draghi ha dichiarato che, essendo entrato in funzione nel 2002, non ha avuto niente a che fare col trucco dei conti greci orchestrato due anni prima dalla banca. Aveva dato le dimissioni nel 2005, l’anno precedente alla vendita degli swap di Goldman Sachs alla Banca Nazionale della Grecia, la prima banca commerciale del paese, diretta da un vecchio goldmaniano, Petros Christodoulos, oggi responsabile dell’organismo che gestisce il debito greco.



Fonte: Goldman Sachs, le trait d’union entre Mario Draghi, Mario Monti et Lucas Papadémos

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di SUPERVICE

http://www.comedonchisciotte.org/site//modules.php?name=News&file=article&sid=9337


Tratto da Informare per Resistere

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Ecco perchè paghi le tasse del debito pubblico e la tua valuta vale sempre meno.

10/28/2011

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Vuoi sapere da dove nasce il tuo debito e il perché devi lavorare tanto per pagare il 70% in tasse? Guarda questo video perché anche noi ne dipendiamo
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PALESTINA LIBERA, SOVRANA E INDIPENDENTE.

9/23/2011

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Riconoscere la sovranità palestinese è solo un atto di giustizia

Lettera del presidente del Venezuela, Hugo Chàvez Frias, al Segretario dell’ONU
A Sua Eccellenza Ban Ki-Moon
Segretario Generale
Organizzazione delle Nazioni Unite

Signor Segretario Generale, distinti rappresentanti dei popoli del mondo:
rivolgo queste parole all’Assemblea Generale dell’Organizzazione delle Nazioni Unite, a questo grande foro dove sono rappresentati tutti i popoli della terra, per riconfermare - in questo giorno e in questo scenario - il totale appoggio del Venezuela al riconoscimento dello Stato palestinese: il diritto della Palestina a diventare un paese libero, sovrano e indipendente.

Si tratta di un atto di giustizia storico per un popolo che porta in sé, da sempre, tutto il dolore e la sofferenza del mondo.
Il grande filosofo francese Gilles Deleuze, nel suo memorabile scritto “La grandezza di Arafat”, dice con accento di verità: “La causa della Palestina è prima di tutto l’insieme delle ingiustizie che questo popolo ha sofferto e continua a soffrire”. Ed è anche, oso aggiungere, una permanente e non piegabile   volontà di resistenza che è ormai inscritta nella memoria eroica della condizione umana. Volontà di resistenza che nasce dal più profondo amore per la terra.

Mahmud Darwish, voce infinita della Palestina possibile, ci parla dal sentimento e dalla coscienza di questo amore. Non abbiamo bisogno del ricordo/perché il Monte Carmelo è in noi/e nelle nostre palpebre è l’erba di Galilea./Non dire: se corressimo verso il mio paese come il fiume!/ No, non dirlo!/Perché siamo nella carne del nostro paese ed esso è in noi.

Contro coloro che, falsamente, sostengono che quanto accaduto al popolo palestinese non è un genocidio, lo stesso Deleuze sostiene con implacabile lucidità: In tutti i casi si tratta di fare come se il popolo palestinese non solo non dovesse esistere, ma che non fosse mai esistito. E’ – come dire – il grado zero del genocidio: decretare che un popolo non esiste; negargli il diritto all’esistenza.

Al proposito, quanta ragione ha il grande scrittore spagnolo Juan Goytisolo quando segnala con precisione: La promessa biblica della terra di Giudea e Samaria alle tribù di Israele non è un contratto di proprietà, avallato davanti ad un notaio, che autorizza a sfrattare dal loro suolo coloro che vi sono nati e ci vivono . Per questo la risoluzione del conflitto in Medio Oriente passa, necessariamente, dal rendere giustizia al popolo palestinese; è questo l’unico cammino per conquistare la pace.

Fa male e fa indignare che coloro che hanno sofferto uno dei peggiori genocidi della storia si siano trasformati in carnefici del popolo palestinese: fa male e fa indignare che l’eredità dell’Olocausto sia la Nakba.

E fa indignare, semplicemente, che il sionismo continui a fare uso dell’antisemitismo contro coloro che si oppongono alla sua sopraffazione e ai suoi crimini.

Israele ha strumentalizzato e strumentalizza, con sfrontatezza e viltà, la memoria delle vittime. E lo fa per agire, con totale impunità, contro la Palestina. Al proposito, non è inutile precisare che l’antisemitismo è una miseria occidentale europea, alla quale non partecipano gli arabi. Non dimentichiamo, oltretutto, che il popolo semita palestinese è quello che soffre la pulizia etnica praticata dallo Stato colonialista israeliano.

Voglio che mi si capisca: una cosa è rifiutare l’antisemitismo, e un’altra – molto diversa – accettare passivamente che la barbarie sionista imponga un regime di apartheid al popolo palestinese.

Una digressione necessaria: francamente è fraudolento confondere sionismo con giudaismo; non poche voci intellettuale ebree, come quelle di Albert Einstein e di Erich Fromm, si sono incaricate di ricordarcelo nel tempo. E, oggi stesso, sono sempre più numerosi i cittadini coscienti che, nello stesso Israele, si oppongono apertamente al sionismo e alle sue pratiche terroriste e criminali.

Bisogna dirlo a chiare lettere: il sionismo, come visione del mondo, è assolutamente razzista. Queste parole di Golda Meir, nel loro terribile cinismo, ne sono la prova lampante: restituire loro i territori occupati? Non c’è nessuno a cui restituirli. Non esiste una cosa chiamata palestinesi. Non è come si pensa, che ci fosse un popolo chiamato palestinese, che considerasse se stesso palestinese e che noi siamo arrivati, li abbiamo scacciati e gli abbiamo tolto il loro paese. Loro non esistevano.

Bisogna ricordare: dalla fine del secolo XIX, il sionismo ha prospettato il ritorno del popolo ebreo in Palestina e la creazione di uno Stato nazionale proprio. Questo progetto era funzionale al colonialismo francese e britannico, come lo sarebbe stato poi all’imperialismo yankee.

L’Occidente ha promosso e appoggiato, da sempre, l’occupazione sionista della Palestina per via militare.

Leggetevi e rileggetevi quel documento che storicamente è conosciuto come Dichiarazione Balfour dell’anno 1917: il Governo britannico si arrogava la potestà di promettere agli ebrei un rifugio nazionale in Palestina, ignorando deliberatamente la presenza e la volontà dei suoi abitanti.

Bisogna ricordare che in Terra Santa hanno convissuto in pace, per secoli, cristiani e musulmani, fino a che il sionismo cominciò a rivendicarla come di sua intera ed esclusiva proprietà.

Ricordiamo che, dal secondo decennio del XX secolo, il sionismo - approfittando dell’occupazione coloniale britannica della Palestina - ha cominciato a sviluppare il suo progetto espansionista. Alla fine della 2° Guerra Mondiale la tragedia del popolo palestinese si è inasprita, si è consumata l’espulsione dal suo territorio e, nello stesso tempo, dalla storia. Nel 1947 l’abominevole e illegale risoluzione 181 delle Nazioni Unite raccomanda la divisione della Palestina in uno Stato ebreo, uno Stato arabo e una zona sotto il controllo internazionale (Gerusalemme e Betlemme). Venne concesso (che vergogna!) il 56% del territorio al sionismo per la costituzione del suo Stato. Di fatto questa risoluzione violava il diritto internazionale e negava platealmente la volontà delle grandi maggioranze arabe: il diritto di autodeterminazione dei popoli diventava lettera morta.


Dal 1948 ad oggi lo Stato sionista ha continuato con la sua criminale strategia contro il popolo palestinese.


Per questo ha potuto contare sempre su un alleato incondizionale: gli Stati Uniti del Nordamerica.


E questa incondizionalità si dimostra attraverso un fatto molto concreto: è Israele che orienta e fissa la politica internazionale statunitense per il Medio Oriente. A ragione Edward Said, quella grande coscienza palestinese, sosteneva che qualsiasi accordo di pace costruito su un’alleanza con gli USA sarà un’alleanza che conferma il potere del sionismo più che sfidarlo.


Ora: contro quello che Israele e gli Stati Uniti pretendono di far credere al mondo, attraverso le multinazionali della comunicazione, quello che è successo e continua a succedere in Palestina - diciamolo con le parole di Said - non è un conflitto religioso: è un conflitto politico, di marca coloniale e imperialista; non è un conflitto millenario ma contemporaneo; non è un conflitto nato in Medio Oriente ma in Europa.

Qual era e quale è il nocciolo del conflitto? Si privilegia la discussione e la considerazione della sicurezza di Israele, e per nulla quella della Palestina. Lo si può verificare nella storia recente: basta ricordare il nuovo episodio genocida scatenato da Israele con l’operazione “Piombo Fuso” a Gaza.

La sicurezza della Palestina non si può ridurre al semplice riconoscimento di un limitato autogoverno e autocontrollo poliziesco nelle sue “enclaves” della sponda occidentale del Giordano e nella Striscia di Gaza, lasciando da parte non solo la creazione dello Stato palestinese, sulle frontiere anteriori al 1967 e con Gerusalemme come sua capitale, i diritti dei suoi cittadini e la sua autodeterminazione come popolo, ma anche la compensazione e il conseguente ritorno in Patria del 50% della popolazione palestinese che si trova dispersa nel mondo intero, esattamente come stabilisce la Risoluzione 194.

E’ incredibile che un paese (Israele), che deve la sua esistenza ad una risoluzione dell’Assemblea Generale, possa disdegnar le risoluzioni che provengono dalle Nazioni Unite, denunciava padre Miguel D’Escoto quando chiedeva la cessazione del massacro contro il popolo di Gaza, alla fine del 2008 e all’inizio del 2009.

Signor Segretario Generale e distinti rappresentanti dei popoli del mondo:

E’ impossibile ignorare la crisi delle Nazioni Unite. Davanti a questa stessa Assemblea abbiamo sostenuto, nell’anno 2005, che il modello delle Nazioni Unite si era esaurito. Il fatto che si sia ritardato il dibattito sulla questione palestinese e che lo si stia sabotando apertamente è una nuova conferma di questo.

Da vari giorni Washington va dicendo che porrà il veto nel Consiglio di Sicurezza a quella che sarà una risoluzione maggioritaria dell’Assemblea generale: il riconoscimento della Palestina quale membro a pieno titolo dell’ONU.

Insieme alle nazioni sorelle che compongono l’Alleanza Bolivariana per i Popoli della Nostra America (ALBA), nella dichiarazione di riconoscimento dello Stato Palestinese abbiamo deplorato, da tempo, che una così giusta aspirazione possa venire bloccata per questa via.

Come sappiamo l’impero, in questo e in altri casi, pretende di imporre un doppio standard nello scenario mondiale: è la doppia morale yankee che viola il diritto internazionale in Libia, ma permette che Israele faccia ciò che vuole, diventando così il principale complice del genocidio palestinese a mano della barbarie sionista.

Ricordiamo alcune parole di Said che mettono il dito nella piaga: dati gli interessi di Israele negli Stati Uniti, la politica di questo paese riguardo al Medio oriente è israelocentrica.

Voglio finire con la voce di Mahmud Darwish nel suo memorabile poema Sopra questa terra: Sopra questa terra c’è qualcosa che merita di vivere: sopra questa terra c’è la signora della terra, la madre degli inizi, la madre delle fini. Si chiamava Palestina. Continua a chiamarsi Palestina. Signora: io merito, perché tu sei la mia dama, io merito di vivere.

Continuerà a chiamarsi Palestina: la Palestina vivrà e vincerà! Lunga vita alla Palestina libera, sovrana e indipendente!

Hugo Chávez FríasPresidente della Repubblica Bolivariana del Venezuela
(traduzione di Daniela Trollio - Centro di Iniziativa Proletaria “G.Tagarelli”  Via Magenta 88, Sesto S.Giovanni)

Preso da: http://ciptagarelli.jimdo.com/2011/09/21/palestina-libera-sovrana-e-indipendente/

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Presa diretta 2011 09 18

9/19/2011

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Oltre la manipolazione mentale che subiamo per aiutare le azioni a salire dei potenti del capitale, dobbiamo anche spendere soldi per costoro che ci creano falsi ideali con l'intento di metterci l'uno contro l'altro e speculare sulla nostra ignoranza che ci porta ad essere un gregge che bela felice ad ogni giustificazione che trovano per nascondere i propri interessi. SVEGLIATEVI
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La finzione della TV una volta ritenuta TRASH

9/19/2011

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Scandalo a Forum: Marina Villa pagata per fingersi una terremotata aquilana, video Finta aquilana a Forum: Mediaset paga una donna per elogiare l'operato del governo Berlusconi nella ricostruzione dopo il terremoto de L'Aquila.

www.uniecampus.it Nuovo scandalo nella trasmissione condotta da Rita Dalla Chiesa, dopo la bestemmia a Forum in diretta, ecco che si scopre un fatto forse molto più grave. Viene mandata in scena una finta causa in cui si una donna si finge una terremotata aquilana e elogia l’operato del governo Berlusconi che ha risolto tutti i problemi della città colpita dal terremoto di due anni fa.

La donna è Marina Villa, di 50 anni, e a Forum nella puntata del 25 marzo 2011 dice di essere una “terremotata aquilana e commerciante di abiti da sposa” che è in fase di separazione dal marito Gualtiero lì presente con lei. Ma è bastato poco per scoprire che Marina Villa non è dell’Aquila, non è una commerciante e suo marito è Antonio Di Prata e con lei gestisce un’agenzia funebre in un paesino abruzzese.

A smascherare questa recita sono stati gli stessi aquilani che per mezzo dell’assessore alla Cultura dell’Aquila, Stefania Pezzopane, hanno fatto sentire la propria voce scrivendo a Rita Dalla Chiesa: “Nella sua trasmissione, persone che, mi risulta, non hanno nulla a che vedere con L’Aquila, hanno fatto un quadro distorto e assolutamente non veritiero”.

Scoppia la polemica inevitabilmente anche su Facebook e viene interpellata anche la signora Maria Villa che, serenamente, racconta la verità: “Ma che vogliono questi aquilani? Ma lo sanno tutti che è una trasmissione finta”.

La donna ci tiene a precisare come sono andate le cose: “Io non c’entro nulla. Ho chiesto di partecipare alla trasmissione e quando gli autori hanno saputo che ero abruzzese, mi hanno chiesto di interpretare quel ruolo. Mi hanno spiegato loro quello che avrei dovuto dire”. E per questa recita c’è stato ovviamente un compenso: “Mi hanno dato 300 euro. Come agli altri attori. Anche Gualtiero, che nella puntata interpretava mio marito, recitava. Lui è un infermiere di Ortona. Hanno scelto un altro abruzzese per via del dialetto”.

Marina aveva un copione vero e proprio con delle cose assolutamente fondamentali da dire: “Hanno riaperto tutti l’attività. I giovani stanno tornando”. Fa paragoni sul prima e dopo il terremoto: “Durante il terremoto sembrava la fine del mondo, non riuscivo a capire se era la guerra, la casa girava. Si sono staccati i termosifoni dal muro. Ora invece è tutto a posto vorrei ringraziare il presidente e il governo perché non ci hanno fatto mancare niente… Tutti hanno le case con i giardini e con i garage, tutti lavorano, le attività stanno riaprendo”.

La Dalla Chiesa forse sapendo che stanno tirando troppo la corda dice di ringraziare anche Bertolaso. Ma la Villa continua il suo elogio dicendo: “Inizialmente hanno messo le tendopoli ma subito dopo hanno riconsegnato le case con giardino e garage. Sono rimasti 300-400 che sono ancora negli hotel e gli fa comodo. Stanno lì a spese dello Stato: mangiano, bevono e non pagano, pure io ci vorrei andare”.

Sono queste le frasi che hanno provocato la reazione dei veri aquilani che si sono sentiti offesi da questa scenetta inventata che dà uno scenario inventato sulla ricostruzione del terremoto in Abruzzo.

Leggi anche:
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  • Rita Dalla Chiesa difende Forum e Marina Villa si scusa con gli Aquilani

continua su:  tv.fanpage.it

Non da meno tutti gli altri programmi

Anche gli Amici di Maria de Filippi, C'è posta per te, ed i vari programmi più seguiti in Italia dall'80% della popolazione hanno esattamente uno scopo specifico di intrattenere le menti per spianare la strada a chi vuol impiantare nel nostro cervello biologico informazioni che facciano compiere precise manovre in ambito finanziario e di destabilizzazione sociale tali da portare a omicidi impensabili, disordini sociali, povertà, pericoli, crisi, false credenze nella nostra quotidianità tali da far approvare e promuovere le misure prese come soluzioni. SVEGLIAMOCI e COMBATTIAMO chi ci inganna e CREA IL PROBLEMA.
Spegni la televisione anche tu! se devi guardare questo schifo.
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Uomo morto non parla: Gli US Navy SEALs distrutti per coprire la bufala dell’esecuzione di bin Laden?

8/21/2011

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di Finian Cunningham - globalresearch.ca.
(Tratto da http://www.megachip.info/finestre/zero-11-settembre/6589-uomo-morto-non-parla-gli-us-navy-seals-distrutti-per-coprire-la-bufala-dellesecuzione-di-bin-laden-.html
Con nota di Pino Cabras in coda all’articolo).

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L’eliminazione di 30 uomini delle forze speciali degli Stati Uniti nello schianto di un elicottero Chinook in Afghanistan arriva in un periodo in cui la versione ufficiale di Washington sul modo in cui è stata eseguita l’uccisione di Osama bin Laden stava crollando sotto i colpi dell’incredulità. Tra i 38 morti nel disastro dell'elicottero - la più grande perdita di vite statunitensi avvenuta in una singola occasione nel corso della decennale guerra di occupazione dell'Afghanistan - si pensa che vi siano molti dei 17 Navy Seals coinvolti nell'esecuzione di Osama bin Laden all’inizio di maggio. Tra i morti sono compresi anche altri membri delle forze speciali USA e dei commando afghani.

I primi servizi dei media occidentali indicavano che il Chinook potrebbe essere stato coinvolto in una considerevole operazione militare contro dei militanti afghani, al momento in cui è stato abbattuto nella provincia di Wardak, poco a ovest della capitale Kabul, alle prime ore di sabato.
Si è riferito che alcune fonti fra i taliban hanno affermato che i loro militanti hanno abbattuto il Chinook con un lancio di razzi.


Funzionari militari statunitensi dichiarano che stanno indagando sulle cause dello schianto.
Tuttavia, appare significativo che fonti anonime USA abbiano raccontato agli organi di informazione che ritenevano che l'elicottero sia stato abbattuto. Questo sorta di conferenza stampa non ufficiale degli USA appare alquanto strana. Perché le fonti militari statunitensi vogliono offrire ai combattenti nemici un così spettacolare colpo propagandistico?
Forse giova gli interessi degli USA distrarre dal motivo e dalla causa reali dello schianto dell'elicottero, sia stato esso colpito o meno da un razzo.


Funzionari statunitensi hanno ammesso che i Navy Seals deceduti facevano parte dell'unità Team 6 che avrebbe eseguito l'assassinio, lo scorso maggio, della presunta mente dell'11/9, Osama bin Laden.

Fin dai primordi, il resoconto di Washington in merito al modo in cui le sue forze speciali hanno ammazzato Bin Laden presso il suo complesso residenziale di Abbottabad, nel nord del Pakistan, era squarciato dalle contraddizioni. Perché mai, una volta liquidato, Bin Laden è stato seppellito in mare in fretta e furia? Come ha potuto il "Terrorista N°1" a livello mondiale risiedere, senza essere notato, ad appena poche miglia dal quartier generale militare pakistano di Rawalpindi?
In tutta evidenza, diverse fonti ben informate sono convinte che Bin Laden sia morto per cause naturali dieci anni fa. L'autore Ralph Schoenman ha respinto la presunta esecuzione dei Navy SEALs come "una grande bugia". Dalle indagini condotte nel corso di vari anni in Pakistan, Schoenman ha dichiarato a Global Research: «Ho intervistato vari membri dei servizi segreti pakistani e diversi militanti, e tutti hanno confermato che Bin Laden è morto per insufficienza renale oltre dieci anni fa».


Più di recente, come riferisce Paul Craig Roberts,[1] i pakistani del luogo hanno affermato che l'operazione dei Navy SEALs ad Abbottabad è finita in un disastro, con uno dei tre elicotteri USA che esplodeva appena decollato dal terreno vicino al complesso. Gli altri due elicotteri non sono atterrati e, secondo i testimoni, sono volati via dalla scena immediatamente dopo l'esplosione. Come Roberts sottolinea, questo vuol dire che non c'era alcun cadavere di Bin Laden da smaltire in mare, come Washington asserisce.
Le persone chiave che conoscerebbero la verità sull'incredibile assassinio di Bin Laden da parte di Washington, sono ora indisponibili ai commenti. Caso chiuso.

Finian Cunningham è corrispondente di Global Research da Belfast, Irlanda.[email protected]
Fonte: http://www.globalresearch.ca/index.php?context=va&aid=25923

Traduzione per Megachip a cura di Dario Tanzi.

Nota di Pino Cabras per Megachip 
Subito dopo i fatti di Abbottabad gli esponenti del sito Infowars.com avevano ragionato e profetizzato intorno a uno scenario inquietante: alludevano a un provvidenziale incidente militare che nel giro di poco tempo avrebbe eliminato dalla scena i Navy SEALs coinvolti nella misteriosa operazione che aveva depennato ufficialmente Bin Laden dagli attori del grande show della guerra. Citavano analoghi casi – per i servizi americani come per quelli russi e di altri paesi - in cui le operazioni coperte venivano ulteriormente coperte sacrificandone i protagonisti.
L’articolo di Finian Cunningham offre perciò un’interpretazione suggestiva del tragico incidente occorso al Team 6 dei Navy SEALs. L’interpretazione non è tuttavia suffragata da prove, mentre funzionari governativi USA «hanno dichiarato all’agenzia Associated Press che ritengono che nessuno dei Navy SEALs che sono morti nello schianto di un elicottero in Afghanistan avesse preso parte al raid che ha ucciso Osama bin Laden, sebbene fossero della stessa unità che ha eseguito la missione bin Laden.»[2]
Non potendo affatto ancora raggiungere conclusioni su questa vicenda, ci limitiamo a riprendere comunque le testimonianze a caldo raccolte fra i residenti di Abbottabad dai reporter di CCTV. Gli abitanti del luogo non credevano che Osama bin Laden fosse mai stato in quel complesso residenziale e si ritenevano tranquillamente sicuri che quella strana operazione fosse una bufala. La stessa squadra antiterrorismo del Pakistan non era in grado di confermare l’uccisione, in base a quanto veniva riferito


www.disinformazione.it


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Fukushima Now Radiating Everyone: 'Unspeakable' Reality 'Will Impact All Of Humanity'

8/19/2011

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Caricato da manekinekotattoo in data 18/ago/2011
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N.W.O. dietro gli attentati di Oslo e Utoja

8/16/2011

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www.ildemocratico.com – di Enrica Perucchietti

Esistono almeno dieci ottime ragioni per rivedere la versione ufficiale che le autorità e i Media ci hanno trasmesso del duplice attentato a Oslo e Utoja. 
Di queste, almeno sei valgono come moventi che potrebbero aver spinto coloro che sostengono un Nuovo Ordine Mondiale ad attaccare la Norvegia in modo che il sangue fungesse da monito per il futuro. Propedeutico a ciò l’entrata della Norvegia nell’Unione Europea.
In estrema sintesi: la mancata adesione all’UE; lo storico accordo di cooperazione siglato nel 2010 con la Russia e solo ora entrato in vigore; un’autonomia che si rispecchia in un Governo e un’economia forte che ha resistito alla crisi; una politica pronta a riconoscere la Palestina; le  risorse di petrolio e gas e gli appalti ventennali sui pozzi iracheni; la  decisione di ritirare le truppe dalla Libia; la spaccatura interna alla NATO facente capo a una politica filorussa; la presenza di una loggia massonica fondamentalista di culto svedese; le esercitazioni militari del governo norvegese che “avrebbero” – come nel caso dell’11/9 e di Londra 2005 - coperto l’operato dei terroristi. Infine, la testimonianza di numerosi sopravvissuti sull’isola di Utoja che ci fosse un vero e proprio commando che avrebbe affiancato Behring Brevik nella sua follia omicida.

Partiamo dall’evidenza: la mancata adesione della Norvegia all’Unione Europea. In due occasioni un referendum popolare ha bocciato l’ipotesi di entrare a far parte dei Paesi membri. Il no definitivo è arrivato nel 1994. Non solo, secondo un sondaggio il 66% della popolazione sarebbe contraria all’annessione. Su questa decisione peserebbe la crisi che hanno attraversato diversi stati membri una volta entrati nella UE.

Se da un lato pesa la recente indipendenza conquistata nel 1905 dal Paese dopo secoli di unione con Svezia e Danimarca, dall’altro il controllo delle acque territoriali con la pesca e l’accesso a risorse quali petrolio e gas votano a sfavore dell’adesione: in questo caso le loro acque potrebbero essere sfruttate anche da altri Paesi europei per la pesca, mentre dall’altro riceverebbero dure sanzioni per la caccia alle balene. Avendo sottoscritto il trattato di Schengen, la Norvegia non ha problemi con gli scambi economici, mentre un’eventuale adesione all’UE sarebbe controproducente per un Paese che ha standard ben al di sopra di quelli richiesti per l’annessione. La Norvegia si è dimostrata una Nazione autonoma, ricca, forte, che ha retto la caduta dei mercati e la conseguente crisi economica. Questa indipendenza non può che intralciare l’opera di coloro che vogliono Stati deboli per un’Europa forte che sostituisca le singole autorità nazionali.

Nel progetto di costituzione di un Nuovo Ordine Mondiale, professato non solo dalle dinastie quali Rockefeller e Rotschild, ma anche da politici e capi di Stato, la mancata adesione al primo step rappresentato dall’UE non può che essere visto come un ostacolo da eliminare. Non si può escludere che entro un anno, dopo questo duplice attentato, venga riproposto il referendum per l’adesione all’Unione Europea e che questa volta il sì “magicamente” prevalga.
Nella geostrategia disegnata dagli USA e professata dal mentore e consigliere ombra di Obama, Zbigniew Brzezinski, emerge un rigurgito di Guerra Fredda che vede l’America come pilastro politico ed economico degli equilibri mondiali a cui si contrappone l’asse costituito da Russia e Cina, le uniche antagoniste all’espansionismo imperiale americano. A questi due blocchi si aggiungono Paesi indipendenti e forti che sembravano non aver bisogno della guida e della protezione degli USA. Che credono – o meglio credevano – di essersi ritagliate un porto sicuro fuori dalla geopolitica globale. Tra questi Libia e Norvegia sono gli ultimi esempi – seppur diversi - in ordine di tempo.

La Libia di Gheddafi è stata attaccata in quella che Obama ha definito incomprensibilmente una “non guerra” per ragioni che vanno ben oltre il mancato rispetto dei diritti umani. La decisione del Colonnello di abbandonare il dollaro per riprezzare petrolio, gas e altre materie prime e di adottare così una nuova valuta, il dinaro oro, può gettare una nuova luce sulle reali motivazioni che hanno portato a questo nuovo conflitto. Soprattutto a scaricare quello che per molti Paesi, Francia e Italia in primis, era considerato un valido alleato.
Trent’anni fa in un intervista rilasciata alla Principessa giapponese Nakamaru, Gheddafi aveva previsto l’intervento della CIA sul territorio libico e nel Medio Oriente per militarizzare l’area e impadronirsi delle materie prime. La decisione di riprezzare petrolio e gas – proprio come aveva fatto Saddam Hussein nel 2001 riprezzando il petrolio sull’euro - avrebbe ovviamente condotto a una svalutazione del dollaro che avrebbe messo in serio pericolo l’economia statunitense già sul baratro della bancarotta. Similmente la Norvegia si stava dimostrando troppo indipendente per gli interessi globali delle stesse elite che hanno appoggiato l’intervento in Libia. La decisione di ritirare la propria partecipazione sul territorio libico a partire dal 1 agosto di quest’anno ha portato il Ministro della Difesa britannico ad accusare il Governo norvegese – così come quello olandese- “di non fornire sufficienti forze aeree per la campagna in corso”.

A ciò si aggiunge l’accordo storico stipulato con la Russia, destinato a riscrivere gli equilibri economici mondiali. Il Trattato, firmato a Murmansk il 15 settembre scorso dal Primo ministro norvegese Jens Stoltemberg e dal Presidente russo Dimitri Medvedev, definisce la linea di demarcazione delle zone di influenza economica nel Mare di Barents, secondo un criterio che assegna, alle due nazioni, parti ritenute uguali, per regolare attività che vanno dalla pesca del merluzzo allo sfruttamento dei ricchissimi giacimenti petroliferi e di gas naturale in un bacino di 175 mila chilometri quadrati. Si può capire come tale asse strategico metta a rischio gli interessi e il controllo americano sul nostro continente. Anche in questo senso il duplice attentato può essere letto come un “avvertimento” a non procedere oltre…

Oltre ai giacimenti di gas e petrolio, Norvegia e Russia si sono aggiudicate tramite la Statoil Hydro e la Lukoil, l’assegnazione degli appalti ventennali su uno dei maggiori giacimenti petroliferi nel Sud dell’Iraq: una riserva di 13 miliardi di barili di petrolio. La Statoil aveva già fatto tremare le lobby americane dopo essere entrata in un partneriato con la Gazprom per il maxi giacimento di gas a Shtokman… Inoltre la Norvegia si sarebbe macchiata, secondo fonte di Ha’aretz – di aver escluso per ragioni etiche quasi un anno fa due imprese israeliane dalla partecipazione dello sfruttamento dei giacimenti di petrolio nel Mare del Nord (http://www.haaretz.com/print-edition/business/norway-government-run-pension-fund-drops-africa-israel-group-shares-1.309874).

Veniamo ora alla politica estera. La Norvegia non si è solo “macchiata” della colpa di voler ritirare le sue forze aeree dalla Libia, ma si è contraddistinta per una politica giudicata da alcuni “anti NATO”. Come riportato da Gianluca Freda (http://www.comedonchisciotte.org/site/modules.php?name=News&file=article&sid=8665) secondo il Cablegate di Wikileaks, il governo norvegese sarebbe stato accusato di far parte della cosiddetta “banda dei cinque” insieme a Francia, Germania, Olanda e Spagna. Le cinque nazioni avrebbero adottato una politica filorussa, creando così una frattura interna alla NATO.

Il secondo peccato della Norvegia in politica estera sarebbe l’appoggio alla causa palestinese. Qui si possono comprendere meglio le voci che hanno parlato anche in questo caso, come nell’11/9, del coinvolgimento del Mossad nel duplice attentato. Ci torneremo più avanti. Il Ministro degli Esteri norvegese, Jonas Gahr Stoere, ha dichiarato in una conferenza stampa tenutasi a Ramallah, che il suo Paese era pronto a riconoscere il futuro Stato palestinese. Non solo. Il Partito Socialista di Sinistra di Kristin Halvorsen si è spinto oltre fino a chiedere di far votare una mozione in cui si chiederebbe un’azione militare contro Israele nel caso di un’azione violenta contro Hamas a Gaza. Il che è davvero troppo anche per un Paese come la Norvegia!
A ciò si aggiunge l’esclusione delle due imprese israeliane dalla partecipazione dello sfruttamento dei giacimenti di petrolio e l’accusa che il Ministro degli Esteri israeliano Avigdor Liebermann mosse alla Norvegia di adottare politiche di antisemitismo. Allora Liebermann durante una riunione ONU a New York puntò il dito proprio contro il Ministro norvegese Jonas Gahr Store parlando di una sua connivenza con Hamas.

Per chi fosse ancora scettico in merito, basti pensare alla casualità del Fato (sic!) che ha visto il paladino dello causa palestinese, il Ministro Gahr Store, chiedere la fine dell’occupazione israeliana proprio giovedì scorso… a Utoja, presso il campo estivo della gioventù laburista! Che coincidenza davvero! Si capisce che l’avvertimento di Liebermann non gli era bastato…
Ma il Ministro degli Esteri non è il solo ad aver rischiato la pelle nel duplice attentato. Si pensi che il Primo Ministro Jens Stoltenberg aveva mandato i propri figli a prender parte proprio al campo di Utoja. I ragazzi e Gahr Store si sono salvati.
Ma costoro avranno capito il monito?

La lettura “alternativa” degli eventi ci spinge a constatare come ci sia stata un’accelerazione negli attentati “simbolici”, che dovrebbero fungere da avvertimento o da causa per una reazione da parte dei Governi. Quest’ultimo fu il caso dell’11/9 che condusse il Governo a rispolverare il Patriot Act che stava ammuffendo sulla scrivania di Bush jr. in attesa che un evento straordinario – “una nuova Pearl Harbour” come l’aveva evocata Brzezinski nel 1997 – sconvolgesse a tal punto l’opinione pubblica da poter stringere il cappio della sicurezza e trovare un movente per l’occupazione dell’Afghanistan e poi dell’Iraq, i cui piani di evasione ammuffivano insieme alla bozza del Patriot Act. Le conseguenze sono storia. La Pearl Harbour auspicata da Brzezinki avvenne puntualmente l’11/9. Ma un punto su cui si è troppo poco discusso è l’esercitazione condotta dal NORAD e dal Consiglio di Stato Maggiore riguardo alla simulazioni di un ipotetico attentato aereo. Il caso volle che l’attento avvenisse poco dopo l’esercitazione, senza che NORAD, FBI e CIA riuscissero a far abbattere gli aerei che ebbero il tempo di virare verso i loro obiettivi con tutta calma sorvolando diverse basi militari… anzi! Numerosi caccia vennero mandati fuori rotta sull’Oceano Atlantico nell’ambito della fantomatica simulazione.

Ora, si vede che quando un inganno funziona coloro che si nascondono “dietro il trono”, hanno deciso di esportare le modalità dei false flag cambiando solo – su necessità – il capro espiatorio. Nel caso di Oslo – proprio come già avvenuto anche a Londra per gli attentati del 2005 – la polizia anti terrorismo norvegese stava eseguendo la tipica esercitazione con tanto di scoppio di esplosivi, all’insaputa degli ignari cittadini.
Ora, non essendo capitato solo una volta, la coazione a ripetere della modalità dei servizi segreti supportati dal Mossad potrebbe aver firmato anche questa pagliacciata.
La fantomatica esercitazione potrebbe essere servita - come nel caso dell’11 settembre e di Londra - a far agire indisturbati i veri responsabili degli attentati, in modo che potessero piazzare gli esplosivi. Così avvenne a New York, poi a Londra, ora a Oslo. Sono note le centinaia di testimonianze di cittadini americani che l’11/9 sentirono e videro esplodere delle cariche all’interno del World Trade Center. Basti pensare all’edificio numero 7 che crollò su se stesso in pochi secondo come in una demolizione controllata SENZA neppure essere stato colpito!

Ora, senza tornare sulle anomalie dell’11/9, la stessa cosa sembra sia accaduta anche a Oslo. L’esercitazione militare che si è tenuta 48 ore prima in prossimità del teatro dell’Opera, può aver benissimo coperto e permesso il piazzamento dell’esplosivo che non si è ridotto soltanto a un’autobomba ma ha colpito diversi edifici governativi.
Per chi si chiede che cosa c’entri il Mossad anche in questo caso, eccovi soddisfatti: come ha spiegato Gianluca Freda, «il Mossad opera in Norvegia in cooperazione con i servizi segreti locali, sotto la copertura del cosiddetto “Kilowatt Group”, una rete d’intelligence che vede la partecipazione, oltre che di Israele e Norvegia, anche di altri paesi quali Svizzera, Svezia e Sudafrica e che si maschera – manco a dirlo – sotto la finalità di facciata della “lotta al terrorismo”». Sul Kilowatt Group quel poco che si sa è emerso da alcuni documenti della CIA: è stato fondato nel 1977 ed opera a stretto contatto con il Mossad, «The group is dominated by Israel because of its strong position in the information exchange on Arab based terror group in Europe and the Middle East».

Infine, è evidente che il duplice attentato non possa essere stato commesso da un’unica persona. Non solo perché non ci sarebbe mai riuscita, sebbene Hollywood ci abbia abituato a credere a tutto. Ora, neppure Bruce Willis avrebbe potuto farcela da solo. Che un 32enne emotivamente fragile, mitomane e bugiardo, con il pallino della politica, cristiano e razzista possa essersi trasformato nella nemesi di Jason Bourne è semplicemente ridicolo. Che fosse un massone – del terzo grado! – non cambia le cose. Costui è stato evidentemente aiutato da qualcuno. I testimoni dell’isola di Utoja hanno infatti raccontato di aver sentito gli spari provenire da diverse parti, avvalorando la pista di un commando. Neppure un esaltato può agire indisturbato per un’ora e mezza con un fucile automatico! Che poi sia stato libero di agire per tutto questo tempo è un’altra questione che coinvolge la responsabilità della autorità.

Ora, che a nessuno sia venuto in mente il precedente del pluriomicida australiano Martin Byrant è sintomo della superficialità con la quale vengono affrontate e trattate le notizie. Anche Bryant – fisicamente simile a Behring, biondo, carnagione chiara, occhi chiari, sguardo spiritato – è stato accusato di aver ucciso da solo il 28 aprile 1996, 35 persone nella strage tristemente più nota della storia australiana. Emotivamente fragile, narcisista, violento, all’età di 31 anni è stato fermato come unico colpevole della strage di Port Arthur. Che abbia agito da solo, anche in questo caso, è improbabile. Bryant, inoltre, era stato sottoposto da adolescente a cure psichiatriche da uno dei responsabili del progetto Tavistock in Tasmania, una sorta di MK-ULTRA inglese. 

Il Tavistock avrebbe agito da copertura per esperimenti sulla psiche di giovani malati così come a partire dagli anni ’50 il progetto Monarch MK-ULTRA, portato avanti dalla CIA, sperimentò come gli abusi possono creare personalità multiple su cavie umane così da dar vita a super soldati o semplici sicari mentalmente manipolabili e all’oscuro di tale controllo mentale ma attivabili sulla base di semplici ordini vocali o visivi.
L’MK-ULTRA ha avuto un suo “braccio” anche in Norvergia, così come il Tavistock in Australia. Il 4 settembre 2000 il Norway Post ha rivelato come il governo norvegese iniettò LSD e altre droghe a bambini e pazienti adulti in cura psichiatrica. Alla somministrazione di sostanze psicotrope si alternavano tecniche di privazione del sonno, della fame, elettroshock, radiazioni, ipnosi e abusi fisici per creare traumi ai pazienti.

Tali tecniche sono state utilizzate anche da logge deviate della Massoneria: in tali casi si parla di Masonic mind control.

La loggia a cui apparteneva Behring Breivik è la famigerata St Johannes Logen St Olaus di rito svedese.
L’ex Illuminato Leo Lyon Zagami che ha messo a repentaglio la sua vita per denunciare gli abusi e le pratiche occulte e sataniche di questa frangia deviata della Massoneria, è stato costretto a riparare all’estero dopo essere stato arrestato per spionaggio dalle autorità norvegesi. Egli aveva fondato nel 2006 il progetto AKER LUX e il CLUB of NOW, con lo scopo di opporsi allo strapotere di questa frangia fondamentalista della Massoneria di rito svedese. In questo senso Zagami porta avanti da anni la denuncia del Rito Svedese e del suo legame con l’O.T.O. e il satanismo in generale.
La possibilità che Behring Breivik, che era soltanto un iniziato al terzo grado, possa essere stato plagiato e manipolato dalla Loggia a cui apparteneva è evidente. Come spiegato da Zagami, il Rito Svedese della Loggia deriverebbe dal Rito della Stretta Osservanza Templare, fondato nel 1756 dal barone Karl Gotthelf von Hund, la cui frangia tedesca influì, secondo Zagami, nel retroterra esoterico che diede vita al nazismo.

È altrettanto evidente che il duplice attentato, che ha ora come unico capro espiatorio un giovane uomo trentaduenne, è stato un monito per la politica del Governo norvegese.
Un avvertimento a cambiare rotta, a sottostare alla creazione di un nuovo ordine mondiale e a sottrarsi alla cooperazione con la Russia. Un modo per far capire che l’indipendenza non è concessa.
Sarà servito?


Erano in più di uno a far fuoco sull'isola. Un’esercitazione sull’esplosione di bombe appena conclusa a Oslo. 
Forse una vendetta della NATO per la decisione della Norvegia di non bombardare più la Libia?


Da Lee Oswald a Lee Oslo, via "Gladio"? di Webster G. Tarpley
Traduzione per Megachip a cura di Pino Cabras - http://www.megachip.info/finestre/zero-11-settembre/6520-da-lee-oswald-a-lee-oslo-via-qgladioq.html


I tragici attentati terroristici in Norvegia presentano un certo numero di segni rivelatori di una provocazione false flag (sotto falsa bandiera, NdT) . È stato riferito che - sebbene i media mondiali stiano cercando di focalizzare l’attenzione su Anders Behring Breivik in veste di assassino solitario nella tradizione di Lee Harvey Oswald - molti testimoni oculari concordano sul fatto che un secondo tiratore era all’opera nel massacro presso il campo estivo giovanile di Utøya, fuori Oslo .

È anche emerso che una unità speciale di polizia aveva condotto una simulazione o esercitazione, nel centro di Oslo, che includeva la detonazione di bombe: esattamente ciò che ha causato il massacro a poche centinaia di metri di distanza poco più di 48 ore più tardi. Ulteriori ricerche rivelano che le agenzie di intelligence degli Stati Uniti stavano conducendo un vasto programma di reclutamento di ufficiali in pensione della polizia norvegese con lo scopo presunto di disporre atti di sorveglianza all'interno del paese. Questo programma, noto come Unità di sorveglianza e rilevamento SIMAS, ha fornito un tramite perfetto per la penetrazione e la sovversione della polizia norvegese da parte della NATO.

È inoltre presente un movente per l'attacco: come parte del suo tentativo di far crescere una politica estera indipendente, compreso l’imminente riconoscimento diplomatico di uno stato palestinese inserito in un riavvicinamento generale con il mondo arabo, la Norvegia stava guidando gli stati più piccoli della NATO che intendevano tirarsi fuori dalla coalizione di aggressori imperialisti che sta attualmente bombardando la Libia. La Norvegia aveva programmato di mettere fine a tutti i bombardamenti e agli altri assalti contro le forze di Gheddafi non più tardi del 1° agosto.
Infine, l’operazione CIA consistente in rivelazioni parziali controllate (limited hangout, nell’orig., NdT), nota come Wikileaks, ha già fornito un caso prefabbricato e pubblicamente disponibile per incompetenza e illeciti contro l'attuale governo norvegese, che sta facendo tutte queste cose, sotto forma di una serie di dispacci reali o manipolati che documentano la presunta negligenza di questo governo nell’affrontare la minaccia terroristica, il tutto secondo la visuale dei funzionari del Dipartimento di Stato USA.

Il giornale VG di Oslo: "Diversi" testimoni oculari affermano che c’erano due tiratori sull'Isola
Come si è visto, la stampa mondiale e i media della scuola anglo-americana si sono immediatamente fissati su Breivik come un caso esemplare di assassino solitario dello stesso stampo di Lee Harvey Oswald, Sirhan Sirhan, e tanti altri. Il problema per i mitografi del terrore è che, nella maggior parte di questi casi, vi sono credibili se non schiaccianti prove che queste figure non avrebbero potuto agire da sole. Tra i più recenti assassini solitari, Breivik potrebbe essere paragonato al maggiore Nidal Hasan di Fort Hood, in Texas, la cui sparatoria con carneficina risale al novembre 2009. Hasan è accusato di aver ucciso sette persone. A quel tempo, si ritenne degno di nota che Hasan era riuscito a uccidere così tanti soldati armati nella base militare. Ma i primi rapporti suggerivano che c'era un altro se non altri due sparatori oltre a Hasan. Come accade di solito, questi tiratori supplementari furono presto cancellati dalla versione dominante nei media. [1]
Nel caso norvegese, la prova che Breivik non era da solo a rivendicare il suo tributo spaventoso di vittime è chiara e convincente. Ecco alcuni estratti da un articolo pubblicato dal quotidiano di Oslo VG:
«Molti dei giovani che erano presenti al dramma della sparatoria di Utøya, hanno riferito a VG di essere convinti che ci debba essere stato più di un esecutore. Marius Helander Roset la pensa così: - “Sono sicuro che si sparava da due diversi punti dell'isola, contemporaneamente”, ha dichiarato.

Testimoni: - C’erano due persone
La polizia ritiene che Anders Behring Breivik (32 anni) sia l'esecutore vestito da poliziotto, e lo hanno incriminato per due attacchi terroristici. I giovani intervistati da VG descrivono un esecutore aggiuntivo, che non indossava l'uniforme della polizia. La persona che li seguiva era alta circa 180 centimetri, aveva folti capelli scuri e un aspetto nordico. Aveva una pistola nella mano destra e un fucile sulla schiena. – “Io credo che ci fossero due persone che stavano sparando”, sostiene Alexander Stavdal (23 anni) ....
Alla conferenza stampa di sabato mattina la polizia ha affermato che ci sarebbero potuti essere diversi esecutori e ha sottolineato che c'è un'indagine in corso»[2]
La presenza di un secondo tiratore è ovviamente più scomoda per la teoria dell’assassino solitario, in quanto rappresenta la prova incontrovertibile di una associazione cospirativa criminale, l'elemento essenziale che la copertura mediatica è generalmente ansiosa di evitare. Nel caso norvegese, i riferimenti a un secondo sparatore sembravano essere sufficientemente persistenti anche 36 ore dopo l'evento principale, tanto da poter far resistere qualche speranza che la versione ufficiale possa essere interamente abbattuta sulla base di questo particolare.

La polizia aveva svolto esercitazioni facendo brillare delle bombe nella stessa area pochi giorni prima
Un altro segno rivelatore critico di un'operazione false flag proviene dallo svolgimento di simulazioni o esercitazioni, ufficialmente per fini di controterrorismo - da parte della polizia o dei militari contemporaneamente all'attacco terroristico, o poco prima che l'attacco terroristico vero e proprio iniziasse. A volte, le esercitazioni o simulazioni in ordine ad atti terroristici sono programmate in modo da iniziare poco dopo il momento in cui l'attacco terroristico effettivo avviene. In questi casi si scopre spesso che la sedicente esercitazione o simulazione anti-terrorismo contiene un'azione simulata o un evento che ricorda fortemente l’attacco terroristico nel mondo reale, quello che uccide davvero la gente. I media poi faranno riferimento a un’incredibile coincidenza o a una concomitanza strana, ma la realtà è che l’esercitazione terroristica è stata presa o rivoltata in diretta nella forma di uccisioni reali. Il segreto sta nel fatto che l’esercitazione con copertura legale è stata utilizzata per condurre o ricalcare il massacro reale attraverso un apparato governativo le cui risorse sono necessarie per eseguire l’atto terroristico, ma in cui ci sono molti funzionari ai quali non si consente di sapere cosa stia succedendo.

Gli eventi in Norvegia forniscono un esempio molto chiaro di questo principio. A Oslo, una potente bomba è esplosa dentro o vicino all'edificio che ospita l'ufficio del Primo Ministro. Esattamente come ci aspetteremmo, unità speciali anti-terrorismo della polizia si esercitavano con l’esplosione di bombe in una zona vicina della capitale norvegese poco più di 48 ore prima. Il pubblico non era stato informato in anticipo, ma ha scoperto quello che stava accadendo quando ha iniziato a sentire le bombe martedì e mercoledì, mentre la bomba principale è esplosa venerdì. Ecco cosa riferisce il giornale Aftenposten:

«Poliziotti armati sono stati visti nella zona intorno al Teatro dell'Opera di Oslo, e violente esplosioni si potevano udire su gran parte della città. Nessuno sapeva che era tutta una questione di esercitazioni. La Sezione Informazione della polizia di Oslo si rammarica profondamente che il pubblico non fosse a conoscenza dell'esercitazione così apparentemente drammatica .... Si trattava della squadra di emergenza, l'unità speciale della polizia nazionale contro il terrorismo, che stava conducendo una simulazione nella zona delimitata presso il molo di Bjørvika. Secondo un comunicato stampa emanato dalla polizia, quasi un giorno dopo l'esercitazione, la simulazione consisteva in una formazione sul campo nel trattare la detonazione controllata di cariche esplosive .... L'esercitazione continuerà per il resto del Mercoledì sera e si prevedono un paio di ulteriori esplosioni.... L’esercitazione ha seguito un modello che risulta familiare a tutte le forze anti-terrorismo di tutto il mondo: gli uomini si calavano dal tetto e si introducevano dalla finestra che era stata appena fatta esplodere, intanto che sparavano».[3]
Peter Power della Visor Consultants disse alla BBC Radio Five sulla scia degli attentati alla metropolitana di Londra del 7 luglio 2005 che la sua impresa aveva condotto un esercitazione basata su esplosioni che dovevano avvenire sostanzialmente nelle stesse stazioni della metropolitana londinese e alla stessa ora in cui le vere esplosioni sono effettivamente accadute. Gli eventi norvegesi presentano lo stesso tipo di strana coincidenza.

Un movente: la Norvegia ha deciso di mettere fine ai bombardamenti della Libia entro il 1° agosto
Gli obiettivi degli attacchi terroristici norvegesi sono tutti espressamente politici, compresi gli uffici governativi e un campo estivo dei giovani del Partito Laburista oggi al governo, e quindi vanno in direzione della politica. Il governo della Norvegia è attualmente una coalizione composta dal Partito Laburista, il Partito Socialista di Sinistra, e il Partito di Centro. La Norvegia ha sempre cercato di coltivare una politica estera filo-araba, come si evidenzia nella sua sponsorizzazione degli accordi di pace di Oslo tra il primo ministro israeliano Rabin e il leader palestinese Yasser Arafat a metà degli anni novanta. L'attuale governo ha annunciato la sua intenzione di concedere il riconoscimento diplomatico di uno stato palestinese nel prossimo futuro. Quando lo scorso febbraio è iniziata la destabilizzazione della Libia, il ministro degli Esteri norvegese Jonas Gahr Støre del partito laburista ha messo in guardia i partner della Norvegia nella NATO dal farsi coinvolgere.

Ma subito dopo, la Norvegia ha ceduto alle pressioni degli Stati Uniti e ha accettato di partecipare al bombardamento NATO della Libia per un periodo iniziale di tre mesi, inviando sei aerei che hanno effettuato circa il 10% di tutti i bombardamenti annoverati dall'Alleanza atlantica. Tuttavia, allo scoccare finale dei suoi tre mesi di impegno, la Norvegia aveva ridotto il suo contingente a quattro aerei per il mese di luglio, e il 10 giugno ha comunicato l'intenzione di ritirarsi del tutto entro il primo agosto dalla coalizione dei bombardamenti NATO.

La decisione norvegese di abbandonare la coalizione di attacco della NATO si è associata con una mossa simile dei Paesi Bassi, che è stata annunciata nella stessa data del 10 giugno. Gli olandesi hanno deciso di mantenere il loro contingente di sei aerei, ma non prenderanno più parte a bombardamenti su obiettivi a terra. D'ora in poi, gli olandesi sono disposti solo ad aiutare a far rispettare la no-fly zone attraverso l’interdizione aerea. C'era quindi la possibilità che l'esempio della Norvegia avesse potuto innescare una tendenza generale da parte degli stati più piccoli della NATO ad uscire dalla coalizione di bombardamento, in cui la loro presenza collettiva è altamente significativa.

Esponenti di spicco del governo norvegese sono stati tra i primi a minimizzare la presunta logica che sottostava al bombardamento della NATO, intanto che sollecitavano trattative: «Le soluzioni ai problemi in Libia sono politiche, non possono essere risolte con mezzi militari», ha dichiarato il Primo Ministro norvegese Stoltenberg ai giornalisti riuniti per una conferenza a Oslo il 13 maggio. «Stiamo sostenendo vigorosamente tutti gli sforzi intesi a trovare una soluzione politica alle sfide cui ci troviamo di fronte in Libia», ha aggiunto. Il governo norvegese ... ha promesso di ridimensionare il suo ruolo negli attacchi aerei alla Libia orchestrati dalla NATO dopo che il suo attuale impegno di tre mesi termina il 24 giugno.[4]

Questa era la politica dell'intero governo norvegese: «La Norvegia ridimensionerà il suo contributo con i caccia in Libia da sei a quattro aerei e si ritirerà completamente dalla operazione a guida NATO entro il 1° agosto», ha dichiarato venerdì il governo.... Il ministro della Difesa Grete Faremo ha detto che si aspetta la comprensione da parte degli alleati NATO perché la Norvegia ha una piccola forza aerea e non può "mantenere un grande contributo con i caccia durante un lungo periodo." La forza aerea della Norvegia sostiene intanto che i suoi jet F-16 hanno effettuato circa il 10 per cento dei bombardamenti aerei della Nato in Libia a partire dal 31 marzo. I partiti della coalizione di governo di centro-sinistra della Norvegia, erano stati in disaccordo sulla possibilità di estendere la partecipazione del paese, che avrebbe dovuto scadere il 24 giugno. La fazione più di sinistra nel governo, il Partito Socialista di Sinistra, si è opposta a una proroga, ma un compromesso è stato raggiunto affinché si rimanesse in funzione fino al 1° agosto con un minor numero di aerei. «È saggio porre fine al contributo dei caccia norvegesi. Ora la Norvegia dovrebbe impiegare i suoi sforzi per trovare una soluzione pacifica in Libia», ha dichiarato il deputato Baard Vegar Solhjell del Partito Socialista di Sinistra. [5]

Il Dipartimento di Stato si è lamentato della “mancanza di impegno” della Norvegia per l’avventura libica
La decisione norvegese di smettere di combattere la guerra contro la Libia, la prima di questo tipo da parte di qualsiasi membro dell'alleanza atlantica, ha attirato l'attenzione degli osservatori diplomatici, uno dei quali ha commentato che l'attuale governo di Oslo ha auspicato «un approccio nettamente più pacifico alle politiche globali da parte del governo norvegese .... [nonostante] le recenti pressioni da parte degli Stati Uniti in Norvegia affinché contribuisse maggiormente alla campagna militare in Libia. La Norvegia ha opposto resistenza a queste pressioni e ha spinto per un approccio più tranquillo agli attacchi della NATO sulla Libia guidati dagli USA, e ha rifiutato di fornire armi alla NATO, annunciando infine il mese scorso che la Norvegia avrebbe lasciato il suo ruolo militare in Libia dal 1° agosto. Nel mese di marzo, quando gli Stati Uniti stavano mettendo assieme il sostegno unilaterale volto a invadere la Libia, la Norvegia del ministro degli esteri Jonas Gahr Støre è stata una delle poche nazioni a mettere in guardia gli Stati Uniti contro l'intervento armato in Libia. La Norvegia inizialmente ha fornito sei aerei da combattimento per le operazioni di Libia e ha realizzato circa il 10% degli attacchi a partire dal 19 marzo. Tuttavia, i funzionari degli Stati Uniti hanno segnalato Norvegia e Danimarca per la loro 'mancanza di impegno' nella missione determinata a mandar via Gheddafi ... Altri legami Norvegia-Libia includono grandi interessi della Norvegia in Libia in materia di petrolio e fertilizzanti: la compagnia norvegese Statoil, posseduta dallo stato, ha circa 30 dipendenti presso i suoi uffici a Tripoli .... Aziende [norvegesi] hanno condotto importanti operazioni di business in Libia, in collaborazione con il regime di Gheddafi»[6]

Allo stato attuale delle indagini, la migliore valutazione circa il motivo degli attentati norvegesi è quella di punire il paese per la sua politica estera indipendente e filo-araba in generale, e per il suo ripudio della coalizione dei bombardamenti NATO schierata contro la Libia in particolare.

Le Unità di sorveglianza e rilevamento SIMAS sono la nuova Gladio per la Norvegia?
Gli operatori dell’intelligence di USA e NATO hanno dimostrato di possedere capacità straordinarie all'interno della Norvegia, molti dei quali possono essere operativi al di fuori del controllo del governo norvegese. Ai primi di novembre 2010, il canale televisivo TV2 Oslo ha messo in luce l'esistenza di una vasta rete di risorse e di informatori segreti a libro paga dell’intelligence USA reclutati tra le fila dei poliziotti in pensione e altri funzionari. L'obiettivo apparente di questo programma era la sorveglianza dei norvegesi che stavano prendendo parte a manifestazioni e altre attività critiche nei confronti degli Stati Uniti e delle loro politiche. Uno dei norvegesi reclutati era l'ex capo della sezione anti-terrorismo della polizia di Oslo.[7]

Sebbene l'obiettivo consistesse ufficialmente solo nella sorveglianza, è possibile immaginare altre attività assai più sinistre che potrebbero essere svolte da una simile rete di poliziotti in pensione, compresa l'individuazione e la sovversione di mele marce presso le forze di polizia in servizio attivo. Alcune delle funzionalità di una rete di questo tipo non sarebbero del tutto estranee al genere di eventi che si sono appena verificati in Norvegia.

Il nome ufficiale per il tipo di cellula di spionaggio che gli Stati Uniti stavano creando in Norvegia è Surveillance Detection Unit (SDU, ossia Unità di sorveglianza e rilevamento, NdT). Le SDU a loro volta, operano nel quadro del Security Incident Management Analysis System (SIMAS, sistema di analisi nella gestione degli incidenti di sicurezza, NdT). Il SIMAS è noto per essere stato utilizzato per spionaggio e sorveglianza da parte delle ambasciate degli Stati Uniti non solo nel blocco nordico di Norvegia, Danimarca e Svezia, ma in tutto il mondo. Gli eventi terroristici inoltre sollevano la questione se il SIMAS abbia una dimensione operativa. Potrebbe questo apparato rappresentare una versione moderna delle reti Stay Behind della Guerra Fredda istituite in tutti i paesi della NATO e più conosciute sotto il nome della branca italiana, Gladio?

Al governo norvegese occorrerà scoprirlo. Finora i ministri norvegesi hanno affermato che non hanno mai approvato la rete di SDU della SIMAS. «Non abbiamo mai saputo nulla su di essa,» hanno affermato il ministro della Giustizia norvegese Knut Storberget e il ministro degli Esteri Jonas Gahr Støre in coro. Hillary Clinton ha dichiarato invece che i norvegesi erano stati informati.

L’operazione di rilascio controllato di notizie Wikileaks di matrice CIA ha ragion d’essere nel tentativo di far cadere il governo norvegese.
Grazie alle discariche documentali rilasciate della sussidiaria CIA che cura le rivelazioni parziali controllate (limited hangout, nell’orig., NdT), generalmente conosciuta come Wikileaks, è già stato fornito un chiaro percorso per l'utilizzo degli attacchi terroristici norvegesi come base adatta a rovesciare l'attuale governo. Dispacci del Dipartimento di Stato veri o manipolati e cortesemente messi a disposizione da Wikileaks ritraggono il governo norvegese, che la NATO odia, come una manica di pasticcioni e mentecatti, incapaci di prendere misure efficaci per salvaguardare la sicurezza nazionale del paese.

Alcune di queste carte sono state pubblicate sulla scia degli attacchi terroristici di Londra dal Daily Telegraph, un giornale notoriamente vicino agli ambienti di intelligence della NATO. Secondo questo articolo, mentre «si parla del tentativo da parte del servizio di polizia di sicurezza (PST) di rintracciare una particolare sospetta cellula terroristica di Al-Qa’ida, un dispaccio scritto dall'ambasciatore USA in Norvegia, Barry White, descrive [il modo in cui le autorità norvegesi] ... hanno rifiutato l'aiuto delle autorità del Regno Unito inteso a mettere sotto sorveglianza un potenziale sospetto e aggiunge: "Non solo non hanno indirizzato le proprie risorse su di lui ... ma hanno anche appena rifiutato l’offerta da parte del servizio d’intelligence del Regno Unito di due squadre di sorveglianza di dodici persone ciascuna". Il dispaccio continua affermando che i servizi di intelligence di Gran Bretagna e Stati Uniti hanno analizzato delle conversazioni in codice tra sospetti terroristi e hanno deciso di garantire la sorveglianza. Ma, dice il dispaccio, "Il PST ha invece trovato il modo di interpretare la stessa conversazione in codice tradotta sotto una luce più rosea e meno minacciosa, un’interpretazione che ha poco senso per gli USA o la Gran Bretagna."» Un catalogo anche dei più recenti fallimenti e fiaschi dell’FBI e della CIA nella cosiddetta Guerra Globale al Terrore potrebbe contribuire a mettere questi giudizi ipocriti nella giusta prospettiva, ma sarebbe anche cosa troppo voluminosa per poter essere aggiunta qui.

Un altro particolare negativo sembra fatto su misura per un tentativo di incolpare i presunti pasticci del governo norvegese per l'attentato di Oslo: «Il memorandum rivela anche come, nonostante in apparenza ci fosse sorveglianza sul sospetto, il PST ha perso le tracce di un’attrezzatura adatta a fabbricare bombe che veniva conservata in un appartamento, dopo che è stata visibilmente rimossa senza che gli investigatori» se ne accorgessero. Il PST quindi non è riuscito a stare sulle tracce di un sospetto per 14 giorni perché l’investigatore a lui assegnato fu chiamato a svolgere un altro lavoro. Il memorandum conclude: «Il PST non è all’altezza ... semplicemente non può tenere il passo.»

Un altro promemoria del Dipartimento di Stato propinato da Wikileaks, presumibilmente scritto nel 2007 ... aggiunge: « la valutazione ufficiale delle minacce della polizia (PST)... afferma che le organizzazioni terroristiche internazionali non sono una minaccia diretta contro la Norvegia.» Un promemoria scritto nel 2008, mostra come gli Stati Uniti ritenessero che la Norvegia non fosse consapevole della possibilità di un potenziale attacco terroristico. Nel dispaccio si legge: «Noi premiamo ripetutamente sulle autorità norvegesi affinché prendano sul serio il terrorismo. Cercheremo di basarci su questo slancio per combattere l'ancora diffusa sensazione che il terrorismo accada altrove, non nella tranquilla Norvegia» E un dispaccio scritto solo lo scorso anno aggiunge: «Il PST ha visto di nuovo la Danimarca come un obiettivo più che la Norvegia, per ragioni molto specificamente legate alla controversia sulle vignette.» [8].

Il governo della Norvegia ha bisogno di passare all'offensiva e stabilire tutta la verità su ciò che è appena accaduto. In caso contrario, è probabile che il governo soccomberà alla campagna orchestrata internazionalmente che i documenti Wikileaks così chiaramente presagivano.

Traduzione per Megachip a cura di Pino Cabras.

Riferimenti

[1] http://www.megachip.info/tematiche/guerra-e-verita/1357-la-strage-unesercitazione-divenuta-realta.html.

[2] 2 Vedi RIA Novosti, 23 luglio 2011, http://en.rian.ru/world/20110723/165350450.html; – Dal sito web di VG: “Flere av ungdommene som var på Utøya under skytedramaet forteller til VG at de er overbevist om at det må ha vært mer enn én gjerningsmann. Det mener også Marius Helander Røset.” “Jeg har overbevist om at det var to personer som skjøt, sier Aleksander Stavdal (23).” “Vedkommende var i følge dem rundt 180 centimeter høy, hadde tykt mørkt hår og så nordisk ut. Han hadde en pistol i høyrehånden og et gevær på ryggen.” http://www.vg.no/nyheter/innenriks/oslobomben/artikkel.php?artid=10080627

[3] “Politiet glemte å informere om øvelse: Anti-terrorpolitiet avfyrte sprengladninger under en øvelse midt i Oslo, to hundre meter fra Operaen, men glemte å gi beskjed til publikum,” Aftenposten, c. July 20, 2011, http://mobil.aftenposten.no/article.htm?articleId=3569108

[4] “Libya solution more political than military-Norway,” Reuters, 13 May 2011, http://www.trust.org/alertnet/news/libya-solution-more-political-than-military-norway

[5] “Norway to quit Libya operation by August,” AP, June 10, 2011, http://www.signonsandiego.com/news/2011/jun/10/norway-to-quit-libya-operation-by-august/

[6] Tragic Irony Surrounds Oslo Bombing, Phuket Word, July 23, 2011, http://www.phuketword.com/tragic-irony-surrounds-oslo-bombings

[7] Thomas Borchert, “US-Geheimdienst mit Nordfiliale: USA lassen Norweger überwachen,” Deutsche Presse-Agentur, November 4, 2010.

[8] Mark Hughes, “WikiLeaks files show Norway unprepared for terror attack: Norway’s intelligence service had previously been criticized for its failure to keep track of suspected terror cells and the country was felt to be complacent about the prospect of a terror attack, secret cables from the WikiLeaks files reveal,” London Daily Telegraph, July 22, 2011. http://www.telegraph.co.uk/news/worldnews/europe/norway/8655964/WikiLeaks-files-show-Norway-unprepared-for-terror-attack.html


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